RIFLESSIONI SULLA CACCIA DELLE PALOMBE NELLE MARCHE (MA NON SOLO)

La caccia delle palombe è caccia storica delle regioni Marche e Umbria. Nel suo libro “Tra querce e palombe”, una “Bibbia” sull’argomento, l’Avv. Giuseppe Mazzotti nella parte terza dal titolo:” Le palombe nelle Marche e nell’Umbria”, così scriveva : “ Entriamo nell’ambiente e nell’atmosfera in punta di piedi, con estrema umiltà, in quanto ci avviciniamo davvero all’altare incontrastato, alla scuola più alta della caccia alle “palombe”.

Ma oggi la caccia classica, quantomeno nelle Marche, la mia regione, sta pressochè scomparendo, sostituita da una forma semplificata che con quella ben poco ha a che vedere : quella era arte, questa è piuttosto sparatoria, ma soprattutto sono l’atmosfera, il pathos, assolutamente diversi, molto più poveri, manca quella intensità delle emozioni che appartiene solo alla caccia classica. La accresciuta potenza di fucili e cartucce, ed una mentalità rivolta soprattutto al risultato : il numero di palombe abbattute, hanno relegato in secondo piano la cultura, la tecnica venatoria e la bellezza e l’emozione che ad esse erano legate, per privilegiare lo sparo ( troppo spesso abusato ), senza che i cacciatori di oggi, che nella quasi totalità non hanno vissuto la caccia classica, si possano rendere conto di quanto la semplificazione in uso faccia perdere della bellezza di questa caccia e delle superiori emozioni che essa sa dare , se riuscissero a rendersene conto, non avrebbero dubbi . Tra l’altro è triste osservare come quasi tutti , piuttosto che dalla emozionante bellezza di una azione condotta in modo impeccabile ( per la verità in genere non conosciuta ), siano assillati dal numero, anche se poi, magari, dopo alcuni mesi buttano le palombe dal congelatore. Una vergogna…una idiozia…, ognuno scelga, comunque una gran brutta cosa ! Alla faccia di una caccia moderna !

L’effetto di questo abbandono della tradizione classica determina un grave impoverimento culturale, non soltanto venatorio, che sarebbe il meno, ma proprio culturale in senso lato, per la perdita di quelle situazioni di bellezza, di tensione emotiva e di sempre particolarmente gioiosa e stimolante convivialità, che creavano un’atmosfera del tutto speciale, assolutamente irripetibile, situazioni che restavano fortemente impresse in chi le aveva vissute . L’emozione che si vive dove si spara a volo, non è proprio paragonabile a quella di cui ho appena detto, che è di una intensità che qualcuno ha definito “da far fermare il cuore” ! Situazioni davvero uniche, testimoniate dalla domanda :”…e le palombe ?” di personaggi non marchigiani ed anche non cacciatori, domanda che, in occasione di un incontro, magari in un mega-ufficio nel centro di Milano, e dopo diversi mesi da ottobre, veniva rivolta subito dopo i saluti, a chi li aveva ospitati nella caccia delle palombe.

Oltre alla diversa mentalità odierna, ignara purtroppo della bellezza a cui ha rinunciato, perché non l’ha conosciuta, ciò che ha determinato l’abbandono della caccia tradizionale classica è stato anche l’azzeramento del passo delle palombe nella nostra regione, per circa 15 anni, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, cosa che ha determinato la perdita del filo culturale con quella tradizione, unito al fatto che sparare a fermo è oggi considerato squalificante e inoltre i cacciatori sono sempre meno disponibili ad accettare di non aver potuto sparare alle palombe che non si erano posate. In genere da parte dei cacciatori si pensa che sparare a fermo o a volo sia una scelta legata solo ad una preferenza personale, invece è qualcosa che determina importantissime conseguenze, come si dirà.

Oggi si spara a volo pressochè in tutti gli appostamenti; residuano solo rari casi di cacciatori che non vogliono rinunciare alla bellezza di questa caccia, pur ingoiando tanti rospi a causa del disturbo delle tante fucilate sparate a volo. La civiltà salvaguarda la bellezza, in tutti i suoi aspetti : architettonico, pittorico, musicale, letterario, culinario, esistenziale (come nel nostro caso). In Francia la “chasse a la palombe” è patrimonio immateriale dell’umanità ( in Francia, si caccia alla maniera classica e c’è ancora quell’atmosfera magica e meravigliosa !). Un’altra causa, anche questa molto importante, è quella per cui la distanza tra appostamenti per colombacci è oggi, nelle Marche, di 300 metri. Infatti 300 metri per questa caccia, sono una distanza assurda, nelle Marche poi, con il suo illustre passato, addirittura vergognosa, anzi scandalosa. La distanza tra gli appostamenti per le palombe una volta era di 1500 metri, e le palombe non sono oggi meno diffidenti di un tempo, perché lo sono di più. Il bello è che se un appostamento ha avuto un certo successo, è facile che l’anno dopo qualcuno ne installi uno davanti, a 300 metri, praticamente annullando quello dietro che era preesistente ! Ma, altro che 300 metri sono necessari perché le palombe terrorizzate da una sparatoria a volo siano nuovamente disponibili a credere ai richiami ! La quasi totale diffusione dello sparo a volo, sta producendo inoltre effetti (sempre più evidenti ), che potrebbero determinare la fine di questa caccia, tanto di quella classica quanto di quella “moderna”, in quanto entrambe sono basate essenzialmente sull’uso dei richiami . La ragione sta proprio nel fatto dello sparo a volo anziché a fermo, perché, mentre dove si spara a fermo le fucilate partono da un capanno chiuso e le palombe, che prima di posarsi avevano verificato che non vi fossero pericoli, sentono il botto, ma non vedono niente, tant’è che non di rado , nuovamente richiamate dai piccioni, tornano a posarsi, alcune addirittura per la terza volta, dove si spara a volo le palombe vedono, e con terrore, i cacciatori che si alzano all’improvviso dai capanni e per giunta sparano contro di loro r così fuggono spaventatissime a tutta . Il grande spavento ricevuto, ripetuto diverse volte, sempre uguale e sempre all’arrivo nel punto dove ci sono i richiami che le avevano attirate, per la immediatezza delle sequenze, fa sì che le palombe colleghino le cose che sono rimaste ben impresse nella loro memoria, e quindi, che già alla vista dei richiami, invece di andare là dove ormai sanno cosa le aspetta, virano e vanno via . L’istinto di conservazione è più forte della loro indole gregaria !

Ecco quanto la caccia a fermo e quella a volo siano radicalmente diverse. In Francia, nelle zone di più forte passione, dove sono molto più attenti, è vietato usare i piccioni dove si spara a volo . Quando un giovane piccione, cresciuto al chiuso di una voliera, vede per la prima volta un falco, il piccione, che nulla sa del falco, che non ha mai visto, segnala terrore. Le giovani palombe del futuro, sulla base della esperienza delle loro progenitrici, potrebbero fare la stessa cosa nei confronti dei piccioni, e allora, sarebbe la fine di questa caccia, restando la sola possibilità di sparare alle palombe al passo, ma niente più caccia delle palombe !

I casi di cacciatori che lamentano il fatto che già alla vista dei volantini (che sono il primo richiamo ancora lontano dai capanni ), le palombe cambino direzione allontanandosi, sono sempre più frequenti e in costante aumento. Giornate in cui le palombe ignorano completamente i richiami ci sono sempre state , ma un conto è non guardare neanche i richiami e tutt’altro conto è allontanarsi da loro ; questo comportamento è abbastanza recente ed in costante aumento . I Francesi si sono resi conto dello sconquasso, dal punto di vista venatorio, che la pratica dello sparo a volo dove si usano i piccioni sta determinando ed hanno preso provvedimenti. Ma, in Italia, ho la sensazione che una cosa del genere non sarebbe pensabile . E allora, non c’è rimedio ?! Probabilmente non c’è rimedio, perché i cacciatori non sono per nulla disponibili a cambiare le loro abitudini e la loro mentalità perché il rimedio sarebbe quello di tornare alla tradizione classica, quella della caccia con sparo a fermo, con capanni chiusi, dove le palombe non vedono niente di anomalo, sentono solo il botto degli spari ( anzi, dello sparo, perché all’unisono), ma non riescono a capire cosa sia successo, non possono collegare quel botto ai richiami che le hanno attirate , perché quando sono arrivate sull’appostamento, prima di posarsi hanno verificato che tutto fosse tranquillo e dopo si sono posate . Non c’è quella immediatezza delle due sequenze: quella dei richiami prima e , poi, all’arrivo vicino ai richiami , l’alzarsi dei cacciatori e le fucilate,  sequenze che, per il grande spavento, per il ripetersi continuo delle due situazioni ma soprattutto per la immediatezza delle sequenze, fa sì che le palombe colleghino i due momenti che si ripetono sempre uguali, un copione ormai conosciuto . L’effetto della vista dei cacciatori che si alzano all’improvviso e sparano contro di loro, è davvero rovinoso per le palombe.

Ma, come mai se ne sono accorti solo i francesi ? E noi italiani ? Alcuni esempi illuminanti : uno riguarda un cacciatore che in inverno cacciava le palombe che andavano su una grande edera, aveva un figlio giovane che lo accompagnava. Un giorno, il padre non potè andare e il figlio andò da solo. Il padre, che il giorno dopo tornò con il figlio nel capanno all’edera, passata l’ora dell’arrivo delle palombe, che non arrivavano, arrabbiatissimo, prese alle strette il figlio che confessò di aver sparato al volo facendosi vedere dalle palombe che per quel motivo non arrivavano e non sono arrivate neanche nei giorni seguenti. Un altro esempio è quello di un cacciatore dell’aretino che, in inverno, ha fatto carnieri ottimi sparando sempre sulla stessa pianta, per tutto l’inverno, certamente sulle stesse palombe : sparava a fermo da capanno chiuso, le palombe non lo hanno mai visto. C’è poi l’esempio del branco che torna a posarsi sullo stesso appostamento dopo lo sparo a fermo , perché non ha visto i cacciatori ! Un altro esempio è quello raccontato da cacciatori con l’asta alle palombe svernanti : riferiscono che le palombe delle zone dove ci sono gli appostamenti ( e quindi hanno visto i piccioni, i cacciatori e le fucilate) non vengono assolutamente al richiamo, mentre quelle che stanno in zone dove non ci sono appostamenti, vengono . Di che cosa ancora c’è bisogno per capire quanto lo sparare al volo dove si usano i richiami , sia negativo ? Ecco l’enorme differenza riguardo agli effetti prodotti dai due sistemi di caccia: con lo sparo a volo le palombe, terrorizzate, soprattutto dalla vista dei cacciatori, e poi dalle fucilate dirette a loro, si alzano e fuggono a gran velocità e, naturalmente, sono assai poco disponibili ai richiami degli appostamenti successivi ; con lo sparo a fermo, se addirittura tornano a posarsi dove hanno ricevuto le fucilate, a maggior ragione potranno posarsi in un altro appostamento ! Nel ternano ci sono 12 appostamenti vicini che sparano tutti a fermo e riferiscono di non avere alcun problema, perché le palombe si posano, nessuna frustrazione dovuta a palombe intrattabili .

Sono un sostenitore della caccia a fermo da quando avevo 19 anni . Avevo cominciato a 16 anni in un appostamento dove si sparava a volo, ma poi avevo percepito il superiore fascino di una caccia altamente tecnica e di uno spettacolo, quello del branco che, talora da altezze vertiginose, viene a posarsi mostrando da vicino i magnifici colori di quei selvatici così diffidenti, che ora svolazzano per posarsi lì davanti facendo trattenere il respiro. Un cacciatore di palombe sa bene come il momento più emozionante sia quello in cui un branco, magari altissimo, “prende” i richiami e inizia a scendere : sono minuti di una intensità assoluta, adrenalina a pieno regime. Quelli che sparano a volo, ed in genere hanno capanni aperti sopra, perché il loro obbiettivo è sparare, piuttosto che gustare la emozionantissima sequenza di un branco alto che viene sull’appostamento, se vogliono che le palombe arrivino a tiro, sono costretti a stare rannicchiati, perdendosi la fase più bella di questa caccia, perché se vogliono godersi la discesa delle palombe, i tanti occhi, acutissimi, di quelle, noteranno anche i minimi movimenti del capo e le palombe riprenderanno il loro tragitto. Dai capanni coperti il cacciatore si può godere tutta la sequenza fino alla posa, che è il momento più alto, senza alcun problema : questa è la caccia delle palombe . Ci sono sequenze che restano nella memoria per tutta la vita, perché sono bellezza assoluta , emozione purissima . Non riesco davvero a capire come mai in tanti, in troppi, ( poveri loro ) identifichino la caccia con lo sparo ritenuto il momento massimo dell’azione venatoria per cui i capanni li rasano a “sfumatura bassa “ per avere la massima libertà di tiro, incuranti del fatto che insospettiscano le palombe ! Tra l’altro c’è una incongruenza davvero incomprensibile: quella per cui tantissimi appostamenti dove si spara a volo sono super attrezzati per richiamare le palombe, ma poi i cacciatori si comportano nel modo più disastroso, sbucando all’improvviso e sparando contro di loro, senza rendersi conto di quanto questo comportamento sia rovinoso, come si è spiegato, anche per loro, perché, anche se nell’immediato il problema è per gli altri appostamenti, che avranno palombe molto spaventate e poco disponibili ai richiami, in realtà ognuno è l’altro di altri.

Bisogna concludere che le palombe sono più intelligenti di questi cacciatori ? Crescendo, ho anche preso coscienza di altri aspetti importanti della caccia a fermo: il primo, fondamentale soprattutto oggi, per la accresciuta sensibilità verso gli animali, è quello, per cui, dove si spara a fermo, i feriti sono un’eccezione, mentre la stessa cosa non si può certo dire dove si spara a volo, soprattutto per le non poche fucilate sparate fuori tiro. Diversi cercatori di funghi hanno riferito di trovare molti mucchi di penne di palomba, appartenute ad animali feriti, poi andati a morire lontano e quindi mangiati da qualche predatore. Un altro aspetto è quello del continuo coinvolgimento, ad ogni arrivo di palombe, di tutti i cacciatori, perché, quando si poseranno lo spettacolo riguarderà tutti perchè saranno lì davanti ad ognuno, inoltre saranno a tiro giusto per tutti, mentre, dove si spara a volo, se le palombe vanno verso un capanno e sono lontane per altri, i cacciatori di questi ultimi si sentono soltanto spettatori e, al massimo, indotti a sparare colpi sciagurati fuori tiro per sentirsi comunque coinvolti .

Penso che ognuno che abbia a cuore questa caccia sia chiamato ad una riflessione, sia per mettere al loro posto i rovinosi sparatori, spennandoli delle penne di pavone che esibiscono , sia per poter vivere appieno la bellezza di questa meravigliosa esperienza non solo venatoria. Non far morire questa tradizione così ricca di bellezza, di forti emozioni e di particolarmente gradevole e stimolante convivialità, per tramandarla alle future generazioni ( tra l’altro, se la caccia avrà un futuro, non sarà certo attraverso le sparatorie e le mattanze, ma attraverso la cultura della caccia ed il rispetto degli animali ). Sarebbe probabilmente questa la strada per recuperare pienamente la magia di quella “festa d’ottobre” che era legata al passo delle palombe. Utopia, illusione ….forse, ma ne vale la pena !

Francesco Paci

P:S: Mi scuso se ho sempre parlato di “palombe” , ma chiamarle colombacci toglie il fascino che questo selvatico ha sempre esercitato su di me e, penso, su molti altri marchigiani e umbri ; del resto il compianto Avv. Giuseppe Mazzotti autore del fondamentale testo sull’argomento lo ha intitolato, lui, toscano, “Tra querce e palombe”, con rispettosa sensibilità per la denominazione usata nelle regioni di antica tradizione . F.P.