Il Referendum Costituzionale e la caccia

Il 4 dicembre prossimo saremo chiamati tutti ad esprimerci sull’ormai noto Referendum Costituzionale, per il quale è iniziata, ormai da qualche giorno, una lotta senza tregua tra i sostenitori del SI e quelli del NO.

Leggendo in rete quello che l’uno o l’altro schieramento stanno proponendo con, più o meno, la stessa percentuale di bufale, mi è rimasto impresso quello che di seguito vi riporto (fonte bastaunsi.it ):

Uno degli argomenti più dibattuti, sin dall’inizio della campagna referendaria, è

stato l’articolo 75, che disciplina l’istituto del referendum abrogativo. È bene fare chiarezza, perché l’istituto del referendum riguarda la partecipazione dei cittadini al processo democratico, e merita di essere trattato puntualmente, al di là delle mistificazioni.

Il primo comma stabilisce che il referendum abrogativo abbia “forza di legge”, e rimane pressoché invariato dalla riforma. Anche il secondo comma dell’articolo 75 non cambia, e continua a porre i medesimi limiti alla utilizzazione di tale istituto, prevedendo che non possa essere “ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”, sulla base del rilievo che alcuni atti richiedano una ponderazione particolarmente ragionata, che non possa essere ridotta alla dicotomia SÌ-NO. Il terzo comma, similmente, non subisce modifiche sostanziali, e stabilisce che “hanno diritto di partecipare al referendum tutti gli elettori”.

L’innovazione più importante deriva dalla integrazione effettuata del quarto comma, che disciplina le modalità attraverso le quali un referendum viene considerato valido. Attualmente si prevede che il referendum sia valido se vengono raccolte 500 mila firme per la promozione e se partecipino alla consultazione almeno la maggioranza dei cittadini aventi diritto al voto. Questa previsione, seppure logica ed apprezzabile, ha reso molto complicata la validazione di molti referendum proposti nel corso degli anni. ( referendum sulla caccia n.d.r.

Volgiamo lo sguardo alla pratica. Numerosi dei referendum proposti durante gli anni non sono stati considerati validi per mancato conseguimento del quorum, pur essendo sostenuti, in molti casi, da gran parte della pubblica opinione. Prendiamo ad esempio il referendum del 1999 per eliminare la quota proporzionale prevista nel sistema elettorale: a questo referendum votò il 49,7% degli aventi diritto, e la consultazione non fu ritenuta valida per un misero 0.3% di non votanti. Oppure la proposta di referendum del 1990, avanzata da Radicali e Verdi, che si proponeva di impedire le utilizzazioni di pesticidi nell’agricoltura: in questo caso votò il 43.1% degli aventi diritto al voto.

Pur raccogliendo ampissimi consensi, buona parte delle battaglie referendarie sono state combattute sulla scia dell’astensione, più che dei contenuti. È del tutto evidente che questa prassi svilisca, in certa misura, un istituto teorizzato per ampliare la partecipazione. 

Per questo motivo la riforma ha integrato il disposto dell’articolo 75, quarto comma, stabilendo che la proposta di referendum venga approvata se “avanzata da ottocentomila elettori” e la votazione ritenuta valida se “la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati” vi abbia partecipato. Insomma, dal 4 dicembre in poi, i referendum avranno due possibilità di realizzazione: 500 mila firme con un quorum del 51% degli elettori, oppure 800 mila firme con un quorum del 51% dei votanti alle ultime elezioni politiche – che equivale in media al 35% circa degli elettori. Sia ben chiaro: una forma non esclude l’altra. Alcuni oppositori della riforma descrivono questa modifica come un attacco alla democrazia e un indebolimento dell’istituto del referendum in quanto saranno necessarie più firme. Accusa decisamente infondata. Oltre al fatto che l’introduzione delle 800 mila firme non esclude il sistema delle 500 mila, è bene ricordare che nel 1946, quando furono prescritte le 500 mila firme, l’Italia era composta da 45 milioni di abitanti, cifra oggi aumentata di 15 milioni. È evidente che le proporzioni tra popolazione e firme necessarie sono cambiate rispetto al disposto originale.

La riforma costituzionale consegue l’obiettivo di conferire dignità ad uno strumento di partecipazione la cui utilizzazione è stata sempre svilita dall’astensione. Con il nuovo articolo 75 potremo avere, finalmente, battaglie referendarie fondate sui contenuti, mai più sull’astensione.

Se avete avuto la pazienza di leggere tutto vi sarete resi conto, facendo due semplici conti matematici che nel referendum del 1990 promosso dai Verdi dove hanno votato circa 20 milioni di italiani ( vinse il SI con il 92% di preferenze ) se ci fosse stata in vigore la proposta di modifica che andremo a votare il prossimo 4 dicembre, e se fossero state raccolte 800.000 firme invece che 500.000, il quesito referendario avrebbe visto vittoriosi coloro che l’avevano richiesto abrogando di fatto l’attività venatoria ( accesso ai fondi privati da parte dei cacciatori ). Questo perché gli aventi diritto al voto non sarebbero più stati 47 milioni circa come allora, bensì circa 38 milioni come nell’ultima tornata elettorale della camera. Se inoltre si considera che ogni anno gli aventi diritto al voto perdono sempre più fiducia nelle nostre istituzioni politiche, scegliendo l’astensione come strumento di protesta, vien da se che ogni anno il quorum sarà sempre più basso (34 milioni di votanti nel 2013).

Il 4 dicembre ricordati di esercitare il tuo diritto al voto con un SI o con un NO e ricorda che stavolta il quorum non deve essere raggiunto per validare la tua scelta!

Enrico Greci

http://www.urcasiena.com/2016/11/23/il-referendum-costituzionale-e-la-caccia/

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