C’ERA UNA VOLTA… di Rinaldo Bucchi

C’era una volta …
Normalmente siamo abituati a leggere queste parole all’inizio di un discorso, o di una favola, oppure d’una affermazione in ogni modo collegata al passare del tempo.
Ed allora potremmo iniziare questo mio nuovo incontro col Club Italiano del Colombaccio proprio con un bel “c’era una volta il colombaccio”.
Sono nato nel 1950, mamma mia … si fa presto a fare i conti. Davvero presto.
Proprio qualche giorno addietro sono andato, assieme a mia moglie, a vedere il passaggio del Tour de France in vetta al Monte del Carnaio: il passo appenninico che mette in comunicazione la vallata di Santa Sofia (fiume Bidente) con quella di San Piero in Bagno (fiume Savio).
Tornare in cima al Carnaio, ancor più percorrere la strada che dal fondo valle porta al ristorante
Gamberini (struttura questa che si trova proprio sul valico) mi ha sollecitato la mente facendomi tornare indietro negli anni, quando bambino (avrò forse avuto dieci anni, poco più o poco meno) seduto sul sellino posteriore di una moto Aermacchi 125 guidata da mio padre, dopo aver passato una notte insonne, affrontavo un viaggio di 60 km per raggiungere una fantomatica bocchetta appenninica dove attendere il passo dei colombacci.
Torniamo alle parole che contraddistinguono il titolo di questo mio scritto per rappresentare che io, in quei tempi, vivevo proprio una favola. Favola che mi ha successivamente condizionato la vita: tanta era l’inespressa tensione di quei tempi, tanta è la esagerata passione che ancora oggi mi anima.
Ma allora … cos’è cambiato se il mio cuore rapito quando ero bambino da un’entità astratta è ancora oggi sottomesso a madame “palombe”. E beh dovrò pur convenire che qualcosa (oltre alla mia età) è cambiato e se ciò non è la mia passionale anima altro non può essere che la controparte di questo “amore” vale a dire il colombaccio.
In effetti quando ero bambino esistevano tempi canonici del passo ed esisteva un passo autunnale del colombaccio che si manifestava, anch’esso, seguendo liturgie ben conosciute. Questo tram-tram, chiamiamolo così, ha subito importanti modifiche a partire da venti/trent’anni a questa parte, ma in questi ultimi tempi sconvolgenti fenomeni hanno caratterizzato una vera e propria mutazione della specie selvatica oggetto delle nostre macchinazioni venatorie.
Ebbene sì, il colombaccio d’oggi non è neppure più parente con quello che io/noi attendevamo nel tanto agognato mese d’ottobre, mese del passo, mese dei “nostri” colori, mese dei “nostri” profumi, mese delle nostre “aspettative”.
Comprova di questa situazione sono i dati che con tanta pazienza raccoglievo quando coordinavo la
ricerca denominata Progetto Colombaccio. Sta di fatto che esaminando i libretti dei cacciatori
marchigiani, in particolare, mi stupivo pensando a quanto grande dovesse essere il loro coinvolgimento emotivo per riuscire a spendere l’intero mese d’ottobre ed anche più per attendere un fenomeno che ormai era ridotto al lumicino. Alcuni cacciatori, dei quali ancora ricordo il nome, passavano le loro vacanze autunnali al passo, al loro antichi capanni, per raccogliere una inezia. Quindici/venti colombi rappresentavano l’entità dei loro carnieri. Quanta passione e che risultati modesti … per usare un eufemismo.
Oggi nuvole di colombi tagliano i cieli d’ottobre nelle Marche, in Umbria , in quelle regioni che un tempo erano rinomate per le loro cacce, per le loro antiche tradizioni e che oltre le tradizioni altro non avevano rimasto da rinnovare. Poco per volta, ma inesorabilmente, il “fiume di palombe” che ha ripreso a frequentare antiche rotte migratorie è di nuovo divenuto molto importante.
Ma non solo … non solo nel senso che non è certo unicamente la migrazione post nuziale ad aver
mostrato mutamenti eclatanti. Anche lo svernamento e il successivo periodo della nidificazione sono emblematicamente sotto i nostri occhi. A titolo personale posso affermare che nel mio piccolo giardino (non poi tanto piccolo) ho in questi giorni ben quattro coppie di colombacci in cova. E’ davvero emozionante assistere (da “guardone”, ben intesi, solo da “guardone”) alle parate d’amore, alla costruzione dei nidi, allo svezzamento dei piccoli. E che litigate tra i maschi componenti le quattro coppie.
La colomba simbolo di pace? No, no e poi no! I soggetti che ho sotto gli occhi se le danno di santa
ragione con potenti colpi d’ala, si inseguono, vorrebbero distruggere i nidi delle altre coppie e
condizionati da una compressa territorialità, dovuta alle dimensioni dei limitati territori nei quali
convivono, mostrano tutta la loro aggressività: altro che simbolo di pace.
Non sono però solo le manifestazioni numeriche (chiamiamole così) a caratterizzare il “nuovo”
colombaccio. Ecco che parimenti all’imponente ripresentarsi su antiche rotte migratorie, assistiamo ad un fenomeno inverso, vale a dire all’abbandono di antiche vie del cielo che avevano rappresentato assodati punti “incontro” tra la passione degli uomini che amano cacciare i colombi ed i selvatici stessi.
Ad esempio, posso segnalare quanto succede nella mia Romagna ed in particolare al rinomato passo della Chioda. Questo valico si trova ad una ventina di chilometri dalla via Emilia, nell’Appennino, circa a metà strada tra i centri abitati di Modigliana e quello di Rocca San Casciano.
Parlare di una bocchetta storica, in questo caso, è davvero limitativo. Fino a qualche anno addietro,
neppure tanti, se si voleva conoscere l’entità del passo in queste zone e non solo era sufficiente fare una telefonata a Rocca San Casciano. Un particolare amico, il mitico “Raffa”, era il realistico portavoce di una situazione giornalmente sotto controllo. Ed allora: Raffa, che dici, passano i colombi? Seguivano fiumi di parole, esclamazioni che raccontavano di continue raffiche di automatici e di mirabolanti carnieri.
Oggi? Oggi tutto questo è finito e tutti noi romagnoli non sappiamo darne spiegazione. Forse … si dice forse … e poi forse … si ripete forse … ma un vero e proprio motivo di questo abbandono di una rinomata vena di passo resta un gran mistero.
Io un’idea l’ho ed ho pure il coraggio di esporla. Sta di fatto che partendo dalle primissime colline
romagnole la pressione di caccia sul colombaccio è cresciuta esponenzialmente. Va bene … i colombacci in migrazione sono aumentati allo stesso modo e forse ancora di più, (ormai i branchi si misurano a chilometri in cielo e non più per i soggetti che li compongono numericamente), ma un volo di colombi che entra nel primissimo Appennino si trova a raffrontarsi con un importante numero di “giochi” che vorrebbero fare – tutti – la stessa cosa: attrarli. Ed allora ecco il volo che a mio parere può essere paragonato ad una pallina da flipper … sbattuta di qua, sbattuta di là …
Questo mio ragionare ha una sua logica, ma anche un contro-altare: vale a dire che la mancanza di
migrazione alla famosa “Chioda” è riscontrabile anche nelle giornate di silenzio venatorio.
Mistero!
Forse saranno le ottobrate ormai sempre più estive a concentrare i colombacci nei fondovalle dove
temperature leggermente più fresche e la presenza di corsi d’acqua attirano il loro migrare? Forse?!
Ma tranquilli le “cose” non cambiano solo da noi.
Da oltre vent’anni collaboro con la rivista francese Palombe & tradition ed ho pertanto facile accesso ad una montagna di informazioni anche dalla Francia.
Partiamo a titolo di inizio riferendo dell’ultima migrazione che “di fatto” non ha attraversato i Pirenei Atlantici. Il clima è certamente mutato. Gli inverni non sono più quelli di “una volta” e così i colombacci non sentono più l’assillo di dover svernale nell’Extremadura in Spagna, oppure nell’Alentejo in Portogallo. I nostri protagonisti si chiederanno: perché tanta fatica per raggiungere antiche mete di svernamento quando è più facile trascorrere la cattiva stagione (che poi non è più tanto cattiva) in Francia?
A comprova di quanto ho citato stanno di nuovo altri “numeri” ricavabili sia dal sito internet
palombe.com che riportano fedelmente i conteggi effettuati in quattro stazioni di rilevamento posizionate per l’appunto nei Pirenei Atlantici, ma anche alcune notizie che ho ricavato da due interessanti articoli scritti dall’amico Jacques LUQUET per il magazine francese che ho giusto citato.
Ebbene Jacques ci racconta dei risultati di caccia ottenuti dalle nove “pantiéres” (appostamenti con reti verticali) ancora in funzione nei Pirenei Atlantici. E’ scontato affermare che potendo visionare alcuni filmati di caccia girati in alcune pantiéres basche si rimane certo impressionati da scene che raccontano di prese favolose effettuate per l’appunto con l’uso di reti verticali, ma è altrettanto stupefacente conoscere i risultati numerici complessivi di queste antichissime forme di caccia. Ecco che, per rendersi conto di quanto accade realisticamente nei Paesi Baschi, diviene utile ancora una volta riportare dei numeri.
Numeri che parlano di pura passione e pura voglia di mantenere vive delle ancestrali tradizioni. Udite … udite … ogni anno, a fine stagione di caccia, gli appassionati che gestiscono queste “pantières” si ritrovano ad un convivio per assegnare “le grand béret”, cioè un riconoscimento all’impianto che si è distinto per il maggior numero di “prese”. La scorsa stagione ha visto “le grand béret “ (un grande berretto basco) consegnato ai cacciatori di Naphal che con 883 tra colombi e colombelle è stato il primo in graduatoria per soggetti catturati.
Le nove pantiéres tutt’oggi autorizzate ed in funzione nelle due ultime decadi di ottobre e nella prima decade di novembre hanno catturato con le loro reti (tutti assieme) 2.801 migratori dei quali 1934 colombacci e 867 colombelle (cacciabili in Francia).
Motivo di questi davvero marginali risultati? Di nuovo e parimenti a noi, anche i francesi (meglio dire i Baschi) lamentano modifiche di ancestrali rotte migratorie.
Così va il mondo nei Paesi Baschi, non solo al monte della Chioda… caro Raffaele!

Un altro articolo del mio amico Luquet è stato scritto con riferimento alle aste che annualmente si
verificano sempre nei Paesi Baschi per l’aggiudicazione delle migliori poste dove cacciare i colombacci al volo, nel corso del passo.
Preparatevi a meravigliarvi.
Una breve premessa per dare risalto al fatto che la Commission Syndacale du Pays de Soule da vent’anni e più organizza aste pubbliche per affittare i migliori capanni per il tiro al volo nei più rinomati passi pirenaici. Queste aste coinvolgono un territorio di circa 14.000 ettari.
Ebbene se nel non lontano 2009 le aste fruttavano oltre 200.000 euro questo importo si è quasi azzerato raggiungendo appena 3.670 euro di incassi nel 2021.
Di nuovo appare evidente il disaffezionarsi di numerosi cacciatori disposti a spendere follie a questi
capanni certo dovuto ad un drastico calo della possibilità di incontri coi voli in migrazione.
Un caro amico, vi parlo questa volta di un personaggio spagnolo che vive vicino a Bilbao, mi racconta di una migrazione sempre più scarna e sempre meno legata a storiche vie di passo. Anche Aitor (si chiama così) segnala enormi branchi di colombacci che questa volta per sorvolare la Spagna preferiscono accorciare la loro fatica attraversando il tratto di mare che contraddistingue il Golfo di Biscaglia anziché valicare i Pirenei Atlantici.
Insomma! Viviamo momenti di grandi cambiamenti e l’unica cosa certa da affermare è che la specie
“columba palumbus” se la passa proprio bene.
Il colombaccio è in esponenziale aumento in tutto il paleartico e nonostante sia forse (togliamo il forse) la specie più cacciata da risalto ad un imponente aumento demografico.
Mi piace citare, in contro canto, quanto accade alle rondini (ma non solo alle rondini) che protette da tempi immemorabili stanno mestamente sparendo dai nostri cieli, almeno così succede da me.
Come chiudere questo mio scritto?
Non so…
Sono invecchiato, certamente. Metto sempre meno mano al fucile ed il mio amico di caccia Silvano è a conoscenza di tutte le mie masturbazioni mentali.
Sta di fatto che il nostro “mitico” colombaccio, o palomba che sia , è ancora capace di scaldarmi il cuore d’estate, d’inverno e nelle mezze stagioni.
Continuo a cacciarlo nonostante lo ami. Struggente ed illogica conclusione? No, semplicemente non
riesco a smettere di attendere il passo con tutte le emozioni che sa regalare.
Mi sento di esprimere una finale raccomandazione.
Ormai in ogni quercia, ormai in ogni boschetto, ormai in ogni foresta esistono appostamenti fissi o mobili per la caccia tradizionale al colombaccio. Intendendo per tale strutture più o meno articolate che sfruttano l’utilizzo di richiami vivi. Ebbene i “teatrini” che noi realizziamo coi nostri volantini, coi nostri zimbelli, sono sempre più simili l’uno all’altro ed è proprio questa reiterazione di sollecitazioni di richiamo che forse produce effetti contrari a quelli desiderati. Sempre più si dice: “i colombi non credono”. Meno male aggiungo io.
E la raccomandazione? Beh … mi raccomando … alla fin fine i colombacci pagano un biglietto per
assistere alle nostre rappresentazioni. Ecco … facciamo in modo che il biglietto non sia troppo caro così da invogliare il pubblico pagante a non disertare i nostri teatrini. In bocca al lupaccio a tutti. Rinaldo Bucchi