La mia cultura venatoria, oggi che ho 73 anni e 58 porto d'armi, mi induce a valutazioni diverse dai primi anni di caccia, per alcune specie invasive, competitive o alloctone, allora venivano definite specie "nocive". Ho sempre partecipato a gestioni di questa selvaggina "nociva", volpi, corvidi, già dal 1967...
Per i cinghiali l'art.37 ha contribuito a limitare danni consistenti all'agricoltura e veniva utilizzato da singoli, ma soprattutto nel mio distretto di caccia, alle squadre di cinghialai organizzate i cui partecipanti (tramite corsi specifici) avevano ottenuto l'autorizzazione agli interventi a carattere di contenimento e gestione della specie. Altro è la selezione per tempi, per specie, di ungulati dove le autorizzazioni all'esercizio di tale disciplina, vengono rilasciate a singoli appartenenti ai vari distretti, dopo censimenti annuali, con piani di controllo, di abbattimento e rigide normative. Nella caccia che vorrei, citata nel mio umile libro, Falco ti brucia la casa, è decritto il mio auspicio, quello cioè di "pretendere" la gestione responsabile di specie selvatiche competitive e distruttive di eccellenze alimentari dell'intero mondo agricolo, che siano raccolti alimentari o allevamenti di vario genere (ovini, caprini, bovini ecc...). Sarebbe una disponibilità del cacciatore verso il settore rurale di grande opportunità morale e sociale. Nel 2014 scrivevo ai sindaci del mio comprensorio di fornire strumenti e immobili con celle e attrezzature a norma igienico sanitaria, per utilizzare, trasformare e non disprezzare o incenerire l'eccellenza delle carni ungulate dei nostri territori, Massimiliano ne è al corrente. Oggi sono sorte in Toscana e in altre regioni ancor prima, dei punti di raccolta e utilizzo di queste eccellenze alimentari di pregio, tipiche delle realtà locali, comunali o sovracomunali. La specie colombaccio, al momento credo non sia specie da interventi con l'art.37, specialmente in alcune zone della Toscana dove compare e scompare nel giro di una giornata, ha le ali... in altre zone mi risulta che sia specie invasiva e di grande impatto socio/ambientale. Per chiudere questa mia lunga disamina e riflessione, sarei più propenso ad una gestione programmatica di ogni specie, compreso il colombaccio, affrontata e non respinta, concordata e non imposta, fra le associazioni venatorie e i rappresentanti territoriali di ogni comprensorio interessato, con il presupposto e la convinzione di risolvere e gestire al meglio il problema, non certo "scacciandolo" dal nostro orto. Gli sparatori (io non lo sono)con il passaggio del tempo e la maturazione fisiologica resteranno una esigua minoranza e saranno parte attiva nella gestione della caccia del futuro. Giovani cacciatori, affrontate con decisione le nuove realtà venatorie, siate parte attiva e coinvolta, non mettetevi in contrasto con il mondo rurale ma integratevi con esso. La violenza verbale anti-caccia finirà per accettare quella che per noi è stata e rimane una Nobile Passione. Viva la caccia
Un caro saluto a tutti quelli che mi conoscono e a coloro che hanno avuto la curiosità di leggere, spero non averli delusi,
con affetto,
Rimescolo