Club Italiano del Colombaccio Presidente Avv. Francesco Paci
Gentilissimo Avvocato Paci, la Sua lettera ci dà modo di esplicitare alcune precisazioni in merito alle contestazioni a quanto pubblicato a firma di Stefano Assirelli sul numero di aprile di Sentieri di Caccia. L'articolo in questione, intitolato No al bracconaggio: difendiamo la caccia, non contiene altro che un'elencazione delle varie tipologie di reato che possono essere commesse in ambito venatorio (e che, di fatto, in alcuni casi vengono commesse) e che, proprio per l'illiceità della condotta, possono essere ricondotte alla categoria del bracconiere.
Bracconiere che, come ben specificato e in evidenza sotto il titolo, può essere "senza o con licenza di caccia poco importa, la predazione di fauna selvatica fuori dei limiti consentiti dalla legge è comunque attività illegale". I passaggi della lunga e complessa disamina non ci sembrano contenere accuse o insinuazioni che possono urtare la sensibilità dei cacciatori. Si tratta semplicemente di dati di fatto, di un resoconto di quanto è apparso sulle cronache e il risultato di indagini di Polizia. Tutti fatti incresciosi che pesano non poco sull'idea che l'opinione pubblica ha della caccia stessa, e dagli autori di questi illeciti, proprio nell'intento di difendere la caccia buona e la categoria dei cacciatori, riteniamo giusto prendere le distanze. Passando da considerazioni generali al contenuto specifico della Sua lettera, ci permetta di dissentire dalla Sua osservazione secondo cui una rivista di caccia non dovrebbe mai contenere considerazioni "contrarie" ai cacciatori. Non ci è chiaro che cosa si intende per "contrarie". Lavorando quotidianamente a un prodotto editoriale dedicato alla caccia, va da sé che chi ci mette la faccia e le proprie energie per contribuire a far crescere una passione sotto molti punti di vista (culturali, tecnici, emotivi) non potrà essere certo "contro"... A nostro parere, la qualità di una pubblicazione e dei suoi contenuti si vede anche dal coraggio di riportare punti di vista che non sono sempre in linea con quello che i più vorrebbero sentirsi dire o che vorrebbero leggere sulle riviste specializzate, ma che vanno considerati per stare al passo con il mondo che cambia, anche quello della caccia, e che sono utili per trovare la via per far sì che la liceità della caccia stessa non possa mai essere messa in discussione. Purtroppo una parte del mondo venatorio - come accade per tutte le altre realtà - presenta alcuni "lati oscuri" che a noi per primi fa male evidenziare. Ma solo un confronto onesto con i nostri lettori e la denuncia di situazioni che sono da osteggiare in quanto illecite e dannose a un'immagine pulita dell'attività venatoria possono renderci inattaccabili e contribuire a sostenere i valori e gli aspetti positivi (che fortunatamante sono davvero tanti) di cui la caccia è portatrice. Stefano Assirelli ha raccolto una serie di dati e li ha messi a disposizione dei nostri cacciatori/lettori. Dati che sono stati verificati e che non hanno nessun valore accusatorio verso alcuno. Per rassicurare coloro che si sono allarmati a seguito della lettura dell'inchiesta, abbiamo chiesto un ulteriore parere sui contenuti di legge a Lorena Tosi, nostra collaboratrice e istruttore direttivo amministrativo del Servizio tutela faunistico - ambientale Provincia di Verona, che da diversi anni risponde puntualmente ai lettori di Sentieri di Caccia in merito a dubbi e incertezze su questioni legali e amministrative circa lo svolgimento dell'attività venatoria. Di seguito quindi, riportiamo il commento in proposito della dottoressa Tosi, che va a integrare le giustissime indicazioni da Lei inoltrateci circa la giurisprudenza in materia. "Le poche righe di testo che hanno suscitato disappunto possono essere problematiche semplicemente perché pongono sul tavolo il tema del maltrattamento degli animali in relazione ad alcune pratiche di utilizzo dei richiami vivi nell'attività venatoria. E con questo non si intende assolutamente che i cacciatori maltrattino gli uccelli utilizzati come richiami, ma che si tratta di una questione spinosa su cui i detrattori della caccia puntano sovente il dito. "Andando comunque al sodo della questione, c'è da domandarsi (e quì la giurisprudenza da molto tempo fa la sua parte) in che cosa si sostanzi il maltrattamento di animali nella pratica venatoria. Il Fatto che il legilslatore consenta determinate pratiche non significa che talune, se non esercitate correttamante, non procurino, più o meno, sofferenza all'animale. Il presidente del Club del Colombaccio parla di 'naturalità' come parametro per distinguere ciò che deve considerarsi lecito e ciò che non lo è. Ma a questo punto c'è da intendersi sul cocetto di 'naturalità'. Un uccello costretto da lacci e quant'altro può dirsi in una situazione di 'naturalità' ? La questione non è certo così semplice, in quanto ogni pratica venatoria, sebbene riconosciuta in linea di massima lecita dal legislatore, a seconda del modo in cui viene messa in atto può talora suscitare dubbi o perplessità". Ed è quello che, a nostro parere, emerge dall'articolo di Stefano Assirelli ed è la questione su cui volevamo invitare i nostri lettori a riflettere, a difesa di chi (ovviamente e fortunatamente la grande maggioranza) pratica correttamente la caccia con i richiami vivi. " Per evidenziare come il tema sia tutt'altro che pacifico - prosegue Lorena Tosi - farei riferimento un paio di sentenze della Corte di Cassazione che, forse ancor più della citata Corte d'Appello di Bologna, costituiscono la traccia per valutare se una certa pratica venatoria possa considerarsi lecita o meno. Va tenuta presnte, in primo luogo, la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III penale, n.46784 del 5 dicembre 2005, a cui il Tribunale di Ravenna, sezione staccata di Faenza, si era ispirato nella decisione della controversia citata del Presidente Paci. In quella occasione la Corte di Cassazione ha stabilito che la legge n.157/92 consente l'uso, a scopo venatorio, di richiami vivi, ma vieta che ad esseri viventi dotati di sensibilità psico-fisica, quali sono gli uccelli, siano arrecate ingiustificate sofferenze, con offesa al comune sentimento di pietà verso gli animali e a tal fine elenca - con carattere meramente esemplificativo - dei comportamenti da considerarsi vietati, ma non legittima l'uso di richianmi vivi con modalità parimenti offensive. Detta legge, infatti, non esaurisce la tutela della fauna in quanto i limiti alle pratiche venatorie sono posti anche dal previgente art. 727 c.p.e dall'attuale art. 544 ter c.p., i quali hanno ampliato la sfera della menzionata tutela attraverso il divieto di condotte atte a procurare agli animali strazio, sevizie o, comunque, detenzione attraverso modalità incompatibili con la loro natura. Da ciò deriva che la legittimità delle pratiche venatorie consentite sulla base della legge 157/92 deve essere verificata anche alla luce delle norme del codice penale. In virtù di tale principio di diritto, l'uso di richiami vivi deve ritenersi vietato non solo nelle ipotesi previste espressamente dall'art.21 co. 1 lett. r) L.157/92, ma anche quando viene attuato con modalità incompatibili con la natura dell'animale e non v'è dubbio che imbragare un volatile, legarlo a una fune, strattonarlo e indurlo a levarsi in volo, per poi ricadere pesantemente a terra o su un albero, significa sottoporre lo stesso senza necessità, a comportamenti e fatiche insopportabili e non compatibili con la natura ecologica di esso. "Più di recente questa posizione è stata ribadita dalla medesima sezione della Corte di Cassazione nella sentenza 40607/2013. Ciò dimostra ancora una volta come il tema sia complesso e molto dibattuto anche nelle aule di giustizia. Pur non criticando la posizione 'morbida' della Corte d'Appello di Bologna, ritengo non possa essere trascurata come spunto per una riflessione più approfondita la posizione più volte manifestata dalla Corte di Cassazione". Non avendo scritto nulla circa l'illegittimità della caccia al colombaccio e né mai e in alcun modo ne abbiamo avuta l'intenzione (a questo proposito ricordiamo che alla manifestazione fieristica Capetav 2012, in occasione della presentazione al pubblico del prestigioso volume "La caccia alle palombe in Umbria" di Vladimiro P. Palmieri, tra i relatori sul palco vi era una nostra giornalista che ha speso molte parole in merito al valore culturale di questa importante tradizione venatoria del nostro Paese), mentre certamente ci scusiamo se sono stati travisati alcuni aspetti tecnici della caccia ai colombacci (e quando dedichiamo spazio all'argomento specifico sulle pagine della rivista, ci rivolgiamo a cacciatori esperti e a firme autorevoli in materia), non possiamo però rettificare quanto "non detto". Il senso dell'articolo, infatti, non era soltanto quello di denunciare una serie di illeciti (di cui le modalità con cui si pratica la caccia al colombaccio certamente non fanno parte !!!), ma era anche quello di sottolineare che la giurisprudenza stessa non è chiara circa alcuni aspetti dell'attività venatoria (in generale) e questo non è certo un bene per i cacciatori che corrono il rischio di veder cambiate, prima o poi, le carte in tavola. Essere informati del problema, ci consente di correre per tempo ai ripari. Concludendo, La ringraziamo sinceramente per averci manifestato con molto garbo le Sue rimostranze, per le Sue giustissime e corrette precisazioni e per essersi fatto portavoce del sentire di molti cacciatori. Speriamo quindi che questo confronto sia stato l'occasione per un chiarimento.
La redazione