Ritengo cosa normale ed umana desiderare e certe volte anche pretendere che ciò che facciamo sia sempre assecondato e condiviso e quando ciò non accade mettiamo subito chi ci ha contraddetto e contestato nell'elenco dei nemici da scansare o addirittura combattere. Per quanto indignati ed offesi , senza una giusta causa, stiamo sempre attenti a non imporre, con la forza del ricatto, a coloro che hanno una visione diversa dalla nostra, i nostri usi e costumi. Faremo sicuramente peggio. Da chi scrive articoli, in qualunque rivista, possiamo pretendere verità e rispetto e con un dialogo orientato ad una costruttiva informazione dobbiamo educarlo e metterlo nella condizione di non urtare la sensibilità di persone con cultura diversa dalla sua. (Il Club Italiano del colombaccio con una diplomatica risposta, in questo caso potrebbe farlo.). Non posso imputare alla rivista “Sentieri di caccia” di essere contro la nostra passione, come non posso condividere, pur rispettando il suo pensiero, chi per ritorsione ne vuol boicottare l’acquisto, non lo ritengo il modo giusto per risolvere i problemi. Per mio stile e formazione di autodifesa, vado sempre a prendere informazioni in modo approfondito dalle fonti del nemico e leggo per diletto e superficialità chi scrive pensando come me. La rivista in questione ,nel bene o nel male, è sempre una buona fonte di informazione, contiene concetti spesso non condivisibili per il modo di vedere la caccia in forma diversa dalla nostra, ma suscita anche motivi di attenta riflessione. Sicuramente, per cattiva valutazione ed interpretazione delle informazioni ottenute e adottando nella disamina una estrema superficialità, chi ha scritto l’articolo relativo ai piccioni su racchetta, non ha usato ne termini appropriati ( bracconaggio è uno di questi) ne sufficiente sensibilità nel coinvolgere l’interessati. Ha anche dimostrato una poca conoscenza della materia, che prima di scrivere articoli orientati a dare una corretta ed onesta informazione, dovrebbe essere cosa imprescindibile. Il risultato prodotto è stato quello di generare sconcerto, una forte apprensione ed offese ai cultori di questa passione. Purtroppo noi detentori di richiami vivi sappiamo bene che ci muoviamo in un terreno difficile e pieno di insidie. Gli attacchi continui che i nostri nemici ci muovono ogni giorno, al cospetto di un opinione pubblica molto distratta e poco informata, ci pone in una condizione di borde line tra l’illecito ed il consentito e a volte anche chi è dalla nostra parte ed ha la possibilità con i mezzi di informazione di esplicitare pensieri e parole, per paura di trovarsi coinvolto nella rete dell’infamia, preferisce mettere le mani avanti e discolparsi su qualcosa che di fatto non c’è e che potrebbe essere trattata con molto più rispetto ed attenzione.
Il direttore della redazione, pur mantenendo le distanze da chi gli ha imputato di essere contro l’attività venatoria e la pratica della caccia al colombaccio con richiami vivi, ha preso le non condivisibili, ma comprensibili, difese di chi ha scritto l’articolo. Ha cercato di far passare, non riuscendoci, l’operato solo come fonte di allarme per ciò che può sempre accadere, ma nel contempo, per giustificare quanto è stato scritto, si è appropriato della competenza di un’esperta giuridica della materia trattata. Credo che abbia sbagliato urtando ancor più la nostra cultura e il nostro modo di pensare, anche perché, con tutti i distinguo del caso, in tutta la sua risposta difensiva ed a volte accusatoria, poteva anche spendere una frase in difesa di questa tradizione. Per finire però non posso esimermi dal dire che una attenta riflessione in noi l’abbia accesa, perché dei fatti a noi infausti , dal punto di vista accusatorio e contestuale, effettivamente sono accaduti.
Ovviamente rimango dell’opinione che una rivista che sta dalla nostra parte, oltre che a trattare tutti i tipi di caccia allo stesso pari, dovrebbe sempre porre molta attenzione in evitare di mettere in mano argomenti scottanti a chi ci vuol male e li può usare come arma contro di noi.
Saluti.