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« il: 17/02/2014 - 23:00 »
Inverno 1978/1979....
Il racconto che mi appresto a scrivere risale a molto tempo fa, un tempo nel quale facevano notizia le "imprese" dei cacciatori del paese, siano stati essi adulti o giovanissimi, bravi o meno bravi, "scafati" o "neofiti", per il semplice motivo che erano parte integrante del tessuto sociale della comunità.
Non avevamo giudizi o pregiudizi indirizzati contro e disprezzanti come succede in tempi moderni, eppure mi sento di affermare che non eravamo certo migliori di oggi, almeno dal punto di vista della conoscenza e della maturità culturale accresciuta responsabilmente, della materia, in un contesto sicuramente più ampio del concetto di prelievo sostenibile di selvaggina.
A quei tempi l'obbiettivo di un giovane cacciatore come me, (cresciuto in mezzo a tanti maestri), era quello di misurarsi e dimostrare che avevo seguito i consigli e gli insegnamenti da loro donati.
L'impegno che assumevo era tale che poteva sembrare eccessivo per l'esercizio di una disciplina di caccia, al cinghiale, concepita soprattutto come possesso di una preda da spartire a fini alimentari.
Ma veniamo al racconto, ricordo di un venerdì molto umido, con terreno adatto a scoprirne i passaggi di ungulati.
Non avevo molta esperienza ne approfonditi insegnamenti per questo selvatico che si era "affacciato" nei nostri territori da poco tempo, in compenso avevo un occhio ispezionatore molto sviluppato e non tardai nell'ispezione consigliata dal "Bertucci", (un cugino di Rimescolo, molto burbero ed esigente ma ottimo cacciatore), a scoprire il transito di un grosso cinghiale, rivelatosi poi maschio, con un evidente malformazione ad una zampa anteriore.
La "traccia" risultava anomala, l'impronta era caratterizzata da un "unghiolo" verticale divaricato.
La sera del venerdì riferisco la scoperta, ma non garantisco la sosta e quindi la presenza del solengo nel territorio ispezionato, e viene deciso di organizzare per il giorno successivo, sabato, una battuta distante tre o quattro km più a nord.
Più a nord era il terrorio dei maestri Eugenio ed Ernesto (abitavano in campagna), i quali oltre che amici, erano e non solo per me, dei punti fermi di riferimento, utilizzavano anche dei "mezzi" cani per lo scovo, mezzi perchè erano piccoli e bravi a metà!
Il gruppo dei "paesani" composto da quattro amici e parenti, compreso Rimescolo, avevano acquistato LILLA, una segugia nero focata, pelo forte, molto lunga nella cerca e nella seguita, ottimo timbro di voce, intelligente e capace di affezionarsi ad ognuno, un tantino insufficiente nell'abbaio a fermo. Successivamente risulterà un ottimo acquisto per la squadra, condiviso anche dai primi dubbiosi, morirà di vecchiaia dopo un brillante percorso venatorio a beneficio della nascente squadra di cinghialai.
Ritorniamo alla battuta che ricordiamo svolgersi più a nord, e precisamente all'aione, a ridosso del Monte Calvi (632 m s.l.v), Lilla viene sciolta su una traversata dela notte, e si dirige decisa con marcata vocalità, verso sud, direzione le ferruzze.
A seguirla siamo in tre o quattro, ricordo bene del Bertucci, del nipote Renzo e di Ernesto che apparirà subito dopo che ebbi la fortuna della cattura del solengo.
Un particolare molto importante e determinante per la cattura fu in quel frangente, il comportamento che assunsi, e cioè:
- mi soffermai quando, seguendo Lilla nella passata verso lo scovo, giudicai prossimo lo scovo del cinghiale e interessante il "trattoio" dova mi trovavo, con buone possibilità di tiro.
Andò esattamente come mi ero immaginato, e il colpo che indirizzai fù mortale per il solengo.
Arrivò per primo Ernesto, si espresse con un sorriso di compiacimento misto a sottolineare la mia astuzia e felice intuito, di tutt'altra natura furono i commenti di alcuni componenti la squadra, ma la mia soddisfazione non venne offuscata soprattutto perchè da un esame attento della carcassa risultò essere il cinghiale che avevo tracciato il giorno prima in Montorsi, a 4 km di distanza, un verro che aveva una zampa anteriore ferita da alcuni anni, con un impedimento superficiale ma evidenziato da una postura anormale di adattamento.
Con il passare del tempo è cambiato il mio atteggiamento, mi spiego meglio, l'insegnamento dei cacciatori di allora era improntato allo studio dei luoghi, dei comportamenti dei selvatici, della conoscenza dei cani, della fiducia in noi stessi allo scopo principale di catturare il selvatico, qualunque esso fosse stato, per dividerlo con altri o da soli per scopo alimentare.
Successivamente con l'avvento di selvaggina grossa, e con la necessità di organizzarsi in squadre di cacciatori è maturata una cultura più ampia di socialità e condivisione di emozioni di caccia fra gruppi.
Ecco allora il rispetto del tiro e della cattura non solo come fine ultimo, ma ricerca di metodologie ed di etiche conformi alle nuove risultanze oggettive.
Ovviamente il desiderio e la voglia dello sparo o della cattura non deve mai venire meno per nessun cacciatore, ma sia questa accompagnata da un sano e rispettoso atteggiamento di condivisione e non di mero egoismo soggettivo.
Lilla e il solengo delle "ferruzze", un racconto vero che fece parlare il paese, e fece coniare a Eugenio, rivolgendosi ai componenti la squadra, la frase: quando sparano RENATO E MAURO, preparate il palo!
Espressione che significava cinghiale catturato, il palo serviva per il trasporto a spalla.
I tempi sono cambiati, i riflessi sono calati, ma soprattutto è calato l'udito, fondamentale per avvertire l'arrivo o la presenza dei selvatici, si dice a ragione che i cinghiali si catturano con l'orecchio, e i colombacci con l'occhio....
Spero di non avervi annoiato oltre il limite, perchè avrei ancora qualcosa da raccontare....
con rispetto,
Rimescolo