Firenze, anni 60, era la fine di febbraio e già? da alcuni giorni un tramontano insistito, ghiaccio come la morte, faceva la barba ai monti intorno alla conca in cui si adagia la città? del fiore. Erano i giorni del ripasso dei tordi e vicino Mercatale val Di pesa,(UNA VENTINA DI KM) c'era una pinetina tutta scoscesa che si infilava in un canalone che si perdeva nell'orizzonte azzurrino. Da lì la sera salivano i tordi, prima bottacci, poi sullo scuro, ormai ombre radenti le chiome dei pini, strisciavano i sasselli. Il posto era stretto e ci stavano solo 3 fucili, per gli altri, i ritardatari, solo pippole. Mio padre, che forse ha amato la caccia più dei suoi figli, ma non è un rimprovero, è solo una constatazione, non aspettava il mio ritorno da scuola per timore di perdere il posto e si avviava con la 500 familiare, color piombo, con gli sportelli che si aprivano in avanti, splendidi per tirare alla lepre lungo strada, ma questa è un'altra storia. Io tornavo trafelato e mentre piombavo in cucina sapevo già? che non c'era. Non parlavo nemmeno, mi cambiavo furiosamente, senza ascoltare mia madre che cercava di farmi mangiare qualcosa. Poi, e qui viene il bello, prendevo la mia Graziella,che altro non è che un tentativo mal riuscito di bicicletta, con due ruote che sembrano due piatti da minestra, e giubbotto, cappello di lana, e stivali di gomma, attraversavo tutta Firenze, mi facevo il Sangaggio, la salita infinita di San Casciano, a volte a piedi perchè il mezzo non consentiva di affrontare una salita di 5 km tutta sui pedali, e poi finalmente, dopo un tempo infinito, fischiavo a lui che venisse a mettere la bicicletta piegata in due (avete capito perchè la Graziella?)in macchina e poi ero lì, zirlo in mano, neanche sudato, pronto a fiondarmi tra le scope per raccogliere il primo tordo. Ed era un freddo che mangiava le mani, ma io avevo dentro un calore che scioglieva la neve perenne, frantumava i ghiacciai e l'universo, la vita, mi sembravano tutta una favola se potevo essere lì, accanto a lui, finendomi gli occhi per avvisare quell'ombra veloce, che saettava tra pino e pino prima di venire strappata al cielo da una fucilata che sembrava un miracolo. Quanti ricordi, ancora vivi e intatti, come intatta, dopo tutto questo tempo che sembra infinito, è ancora la mia voglia, grazie babbo per aver amato la caccia almeno quanto hai amato me, perchè ci sono passioni che segnano la vita di un uomo e non si possono ridurre in parole, forse è più semplice evocarle con un sorriso, mentre scende la sera ancora, di un giorno di caccia. Ciao