CACCIA »?.COME ?
Finito il passo dei colombcci, vorrei tornare per un attimo alla questione della pre-apertura al colombaccio , con una premessa .
Oggi la caccia non trova un grande favore presso l'opinione pubblica , hanno preso sempre più forza i vari movimenti protezionisti, ambientalisti, animalisti ecc.
Ma, siamo proprio sicuri che a tutto ciò non abbiano dato un bell'aiuto anche certi cacciatori dominati dalla mania dello sparo ? Fucilate a fagiani grossi poco più di una quaglia, fucilate a porte e finestre delle case coloniche non più abitate , fucilate ad animali del tutto fuori tiro nella speranza che qualcuno possa cadere, ma nella consapevolezza che tanti rimangono feriti inutilmente, scioccamente, crudelmente , l'aggettivo più adatto ognuno lo scelga a piacere !
In questo contesto rientra anche l'uccisione di colombacci i cui figli non sono ancora in grado di sopravvivere da soli .
E' questa la ragione per cui , credo, non si può essere favorevoli alla pre-apertura : una ragione etica .
Ma sembra una ragione dimenticata, a favore o di supposizioni un po' curiose, riferite a piccoli interessi particolari, ovvero di posizioni assolutamente «talebane»? .
Riguardo al primo caso, mi pare che si voli un po' troppo basso , quanto al secondo, la contrapposizione cieca con l'avversario penso che non serva a niente, anche perché una posizione di chiusura totale, verrebbe sicuramente interpretata dagli avversari soltanto come una bieca difesa ad oltranza di ciò che è considerato soltanto «il male»?.
Solo con argomentazioni serene e serie si potrà? ottenere qualche risultato, perlomeno quello di meritare il rispetto .
A questo proposito ricordo che il nostro Club va proprio in questa direzione, esso ha a cuore la «caccia»? al colombaccio, non la possibilità? di sparare il più possibile ai colombacci.
Da oltre vent'anni si sta osservando il prevalere del fucile sulla tecnica di caccia, con il risultato che, da un lato vanno perdute le cose più belle ed emozionanti ,
e dall'altro si va verso la perdita anche della cultura stessa di questa caccia .
Per questo si è sentita la necessità? di adoperarsi affinchè questa caccia, così tecnica, non debba essere relegata soltanto nella memoria di chi l'ha praticata un tempo, ma possa continuare ad emozionare anche i giovani di oggi e di domani.
Non mi riferivo,ovviamente, parlando del fucile che prevale sulla tecnica di caccia, a coloro che andavano, e vanno ancora a caccia al passo, dove si spara e via, ai selvatici che passano . A costoro piace così, niente da dire .
Mi riferivo invece a quelli che, «facendo la caccia»? ai colombacci, sono travolti dalla mania dello sparare, cosicchè le cose più belle ed emozionanti vengono tagliate fuori da sparatorie assurdamente affrettate ,che concludono subito tutto, per il timore, anzi il terrore, che si possa altrimenti perdere la possibilità? di sparare .
Il prevalere dello sparo sulla «caccia»? (purtroppo diventato spesso un vero e proprio dominio ), ha scatenato l'ingordigia del numero, distogliendo l'attenzione dalla vera bellezza della caccia , perché lo sparo riduce tutto a : ucciso » mancato, mentre la bellezza della caccia non è nell'uccidere , ma nel come si arriva all'uccisione del selvatico , con quale bellezza di situazioni, con quali emozioni .
Si è venuta a creare così una situazione abbastanza paradossale , come vedremo .
Ogni cacciatore che si dedichi alla caccia dei colombacci , e non sia un povero sprovveduto, dirà? senza esitazione che i momenti più emozionanti sono quando il branco dei colombcci, altissimi o lontani, «prende»? i richiami e viene verso l'appostamento ; molto più emozionanti di quando è il momento di sparargli, perché a quel punto tutte le azioni «di caccia « sono già? concluse e resta solo il tiro.
Va detto anche che il tiro trova la sua più alta espressione e bellezza dopo una bella azione di caccia , che, con un bel tiro, si conclude magnificamente , al meglio ; viceversa il bel tiro, anche bellissimo, senza alcuna azione di caccia, rimane solo un tiro e basta .
Nessuno deve più vivere,oggi, con la cacciagione, perciò la quantità? di carne riportata non può che avere, oggi, un rilievo modesto ; dovrebbero contare molto di più le emozioni vissute per una bella azione di caccia ; non credo ci siano tanti cacciatori così rozzi da capire soltanto i «pezzi»? e la «carne»? ; da millenni non abitiamo più nelle caverne e siamo figli di una grande tradizione di senso del bello e dell'arte : quale cacciatore può essere , oggi , in una così penosa condizione personale ?
Ed è perciò davvero paradossale che sia diventato criterio comune, per avere, o per dare , un'idea di come siano andate le cose a caccia, quello del numero dei selvatici uccisi . Il numero così, finisce per essere anche il valore di riferimento della soddisfazione del cacciatore, senza nessuna differenza tra i selvatici uccisi con un semplice tiro e quelli uccisi con una grande azione di caccia . Infatti, mentre i tiri, salvo casi del tutto eccezionali, sono anonimi e di essi non rimane alcun ricordo, una azione di caccia , magari addirittura conclusa in modo non troppo ricco dal punto di vista del carniere, ma straordinariamente emozionante, lascia un ricordo forte per lungo tempo, forse per tutta la vita !
Questa è la «cultura della caccia»? , l'apprezzamento delle situazioni più emozionanti e più belle che la fanno diventare arte .
Invece lo sparo, che si è affermato per la tendenza del mondo moderno a semplificare le operazioni necessarie al raggiungimento del risultato, ha prodotto come effetto, da un lato questa ingordigia del numero, anzi bulimia del numero, perché non sazia mai, e dall'altro la perdita di ciò che nella caccia c'è di più bello ed emozionante ; e tutto in un'epoca in cui non c'è alcun bisogno alimentare da soddisfare con la selvaggina, che talora viene addirittura lasciata sul posto ! Una cosa davvero paradossale !
Questo perché il numero finisce per diventare soprattutto la misura del valore del cacciatore e così, nella nostra società? della competizione, tiene un po' tutti psicologicamente soggiogati . Ma è un grosso equivoco, perché un cacciatore di qualità? , ancorchè certamente gratificato di norma da risultati più che soddisfacenti, non è interessato alla mattanza ; è interessato alla bellezza delle emozioni, mentre la mattanza è sempre un po' squallida e non serve .
Bisogna recuperare «l'arte della caccia»? ed è questo l'obbiettivo principale del Club :conservare la cultura , le tecniche di caccia , per consentire anche alle generazioni future, di poter gustare questa caccia così emozionante, in tutta la sua bellezza ; e questo perché ne vale davvero la pena e inoltre non è detto che tutto ciò non ci possa far guardare con occhio più rispettoso dai «non»? , i quali, battuti proprio sul loro terreno, potrebbero addirittura percepire il loro essere «non « come la mancanza di qualcosa che «non»? hanno e «non»? conoscono .
Cultura venatoria, da promuovere, ma anche scientifica e comportamentale riguardo a questo selvatico che tanto ci entusiasma , affinchè possa continuare a farlo anche in futuro .
I francesi delle regioni a più forte tradizione, grandi cultori della «chasse a la palombe»?, caccia che si è enormemente diffusa in tutto il territorio nazionale , anche là? subendo l'influsso dello sparo, sono arrivati a vietare di sparare a volo negli appostamenti dove si usano i richiami, perché si sono resi conto che, sempre di più, i richiami diventavano uno spauracchio anziché un motivo di attrazione. Infatti, la vista dei richiami che induce i colombacci ad avvicinarsi , subito seguita dal sorgere di uomini col fucile che gli sparano addosso, e ripetuta di continuo, è naturale che attivi dei meccanismi di difesa da parte dei selvatici stessi.
Quando invece i colombacci , dopo aver visto i richiami , si sono posati, fanno sicuramente più difficoltà? a collegare gli spari che seguono ai richiami che hanno visto prima, c'è un lasso di tempo che spezza le due situazioni e ne rende più difficile il collegamento .
Non è detto che anche in questo caso non possano rendersi conto della cosa, ma sicuramente impiegherebbero molto più tempo ; le antiche cacce tradizionali umbre e marchigiane, dove si sparava a fermo, sono andate avanti per secoli . La tradizione infatti, di norma è anche segno di situazione equilibrata, perché qualcosa di non equilibrato non potrà? mai diventare tradizione, perché è destinato a finire molto presto .
La risoluzione dei francesi, ad ogni modo è illuminante ed il vero problema è di non arrivare troppo tardi, sottovalutando il fenomeno.
A questo proposito pensiamo ad un giovane piccione nato e cresciuto al chiuso di una stanza, che, appena messo all'aperto, vede un falco : mostra un grande timore; da dove gli viene quel timore ? : dal suo DNA .
Allora, se la stessa cosa dovesse mai succedere con i richiami, addio caccia al colombaccio, non resterebbe che sparargli al passo e basta!
Non sono fobie da visionari, ma cose sulle quali riflettere e discutere in modo serio e costruttivo. Francesco Paci