E gia’. Al solo pensare al momento tanto atteso, a quello spazio dell’anima che contraddistingue noi malati gravi di “palombite”, un subbuglio interno ci attanaglia, ci agita, addirittura non ci fa riposare di notte.
Questo sentimento, questa passionaccia, se possibile, è ancor più frizzante in quei cacciatori che il mio amico Levante definisce in modo appropriato quale “adriatici”! Sì perché il momento che Madre Natura ci concede per incontrare i nostri tanto desiderati colombacci si comprime in uno spazio davvero contratto.
Quaranta/quarantacinque giorni? Ecco questa è la durata massima del nostro vivere la caccia tradizionale in Romagna.
Ma torniamo a noi al titolo di questo scritto.
A me piace molto leggere, informarmi, confrontarmi con esperti e persone che nel loro piccolo mondo ne sanno più di me. Ed allora in tema d’inizio delle migrazioni del nostro protagonista dovremo tornare tanto tempo indietro, alla fine della cosiddetta glaciazione di Wurm, all’incirca a 10.000 anni addietro. E forse anche molto prima.
Ciò che ha preceduto le stagionali migrazioni dei colombacci, d’autunno verso nord e in primavera verso sud, è stata la migrazione di piante selvatiche da frutto quali querce e faggi.
E’ stato possibile datare questo avvenimento all’incirca a 4.000 anni fa.
Ebbene, partendo da zone temperate (parte più occidentale e meridionale del continente = Penisola
Iberica) le piante che ho evidenziato iniziarono a spostarsi verso nord ed a farlo parallelamente a
successive condizioni meteo migliori che permettevano certo alla vita di fiorire dove faceva meno freddo.
Sembra che le querce abbiano migrato verso nord al ritmo di 400/500 metri l’anno.
Aggiungo, a titolo di informazione, che lo studioso francese Antoine Kremer riuscì a dimostrare quanto asserito mediante l’analisi di pollini fossili.
Anno per anno, secolo per secolo, ecco prendere corpo un popolo di migratori che prediligeva spostarsi a nord nell’estate per poi riprendere il volo verso sud con l’arrivo della cattiva stagione.
Certo non trattiamo di un processo immediato. A smorzare questo primordiale istinto sta il fatto che le querce del nord Europa fruttificano ad anni alterni, mentre quelle della parte più meridionale (di più varie essenze) praticamente regalano frutti ogni anno.
Ecco nascere le migrazioni del nostro amato protagonista.
Ed oggi? Sono nato nel 1950 (si fa presto a far di conti) è posso certamente affermare che il pianeta
colombaccio m’è cambiato sotto i piedi, stravolgendo usanze, calendari venatori, credenze e supposizioni.
Sta di fatto che questa primavera/estate nel mio giardino di casa hanno covato e svezzato vari giovani ben quattro coppie di colombacci. Ecco che mi sono riempito gli occhi con parate di corteggiamento, litigate
furiose tra i maschi che si contendevano il territorio, accoppiamenti in instabile equilibrio sui fili della luce, nuovi nati docili come piccioni. Uno spettacolo!
Non avrei mai e poi mai immaginato di poter gustare personalmente scene di vita quotidiana come quelle evidenziate. Nella mia testolina … pensavo … mica siamo finiti in Scozia?
Ecco che i colombacci lungo migranti della mia gioventù hanno saputo cambiare abitudini di vita in
questo condizionati dal variare del clima e dalla presenza di grandi quantità di risorse trofiche.
Oggi abbiamo ancora popolazioni di soggetti lungo migranti, ma a questi dobbiamo aggiungere quelli che migrano a corto raggio ed i numerosi che ormai vivono nelle nostre città. Insomma: una rivoluzione!
In merito ai colombacci lungo migranti (quelli che tanto ci fanno sognare) occorre dare evidenza al fatto che nonostante inverni più miti, esiste una immaginaria ed al contempo concreta linea che unisce tutti i territori europei che durante l’inverno hanno almeno 40 giorni di neve stabile a terra. Ecco questa sembra essere il limite, il confine che rende impossibile la vita nella cattiva stagione ai colombacci.
Per contro, come accade ad esempio in Francia, succede che i colombacci valichino in minor numero i Pirenei Atlantici diretti alla volta dell’Extremadura in Spagna e dell’Alentejo in Portogallo.
Perché sobbarcarsi viaggi faticosi e pericolosi per raggiungere antiche mete (ricordate il mio appunto inerente i luoghi dove prese vita la migrazione? ) quando nell’intera Francia appaiono fast food immensi di mais, oppure foreste sterminare ricche di ghiande e faggiole? L’arcano è presto risolto.
In questi giorni, come tutti noi, sono, anzi siamo Silvano (il mio amico di caccia) ed io impegnati a
terminare tutta quella montagna di lavoretti che un appostamento per la caccia tradizionale al colombaccio richiede.
E proprio in questi giorni la fatidica domanda sboccia prepotente nelle nostre menti. Dove saranno ora? Quando partiranno? Quando arriveranno? Quante domande intriganti e quante poche risposte. Ma a ben pensare il “bello” della migrazione è proprio questo: il fatto di andare al capanno, montare zimbelli, lanciare volantini e sperare in una giornata da favola senza avere alcuna certezza.
Certo mentre scrivo la migrazione ha già sganciato varie onde di involi, ma da dove?
A noi la fortuna di saperli aspettare. Arriveranno in una notte d’ottobre, troppo calda per viaggiare di giorno? Arriveranno un giorno di divieto
di caccia? (quante volte!!!) La cosa certa è che arriveranno ed a deciderlo saranno loro. Noi
fantastichiamo su aspetti immediati del passo (leggi Mesola e foreste litorali adriatiche) ma chissà quante “Mesola” esistono di là dall’Adriatico e chissà quante fonti alimentari di facile accesso incontreranno nel corso della loro stagionale fatica.
Un vecchio proverbio umbro recita a questo modo: “ alla messa vacce ed alla caccia stacce”.
Ecco che saranno quelli più tosti tra noi a facilitare un incontro aspettando che smetta di piovere o soffiare un vento infernale. Infondo saranno quelli “più cacciatori” a saper cogliere i frutti che ottobre ci regala
generoso. Io? Mi accontenterò, indipendentemente dal risultato, dai tanto biasimati “numeri”, di vivere un altra stagione di passo al mio capanno, tra un ricordo delle persone che ci hanno preceduto e per le quali dobbiamo mantenere viva questa ammaliante tradizione e la speranza immutabile per il giorno dopo, quello a venire, sempre carico di speranze…
Buon passo a tutti (che è diverso dall’augurare buona migrazione a tutti). Insomma auguro a tutti voi che il prossimo (direi immediato) momento del passo sia di grandi soddisfazioni. E per questo, credetemi, occorre una grande serenità d’animo.
Rinaldo Bucchi