PARLIAMO DI CACCIA

Abbiamo voluto dare maggiore visibilità ad un post dell’amico Renato Bianchi…. in “arte ” Rimescolo…., già pubblicato sul forum,  non solo per i contenuti di estrema attualità e profondità che toccano l’essenza del nostro essere cacciatori ma anche per la ponderatezza, l’equilibrio e lo spirito costruttivo che caratterizzano questo testo come del resto tutti i suoi interventi.  Questo modo di porsi agli altri possa essere di esempio nell’ambito delle nostre discussioni.
PARLIAMO DI CACCIA
Sono sinceramente convinto che per continuare ad andare a caccia nel presente e nel futuro, siano necessari studi scientifici, seminari, approcci culturali, documentazioni, cambi di rotta.
Questo secondo me perchè la destinazione finale, quella dell’incontro con il selvatico e il successivo sparo per la cattura accertata, ha subito nel tempo infinite trasformazioni, sia di metodo che di merito. Di metodo è ovviamente verificabile dall’evoluzione della ricerca spasmodica, (lo richiede il mercato) di perfezionamento e potenziamento di armi , munizioni, abbigliamento, ausiliari, attrezzature sempre più sofisticate e spinte oltre il confine immaginabile, a volte ripugnanti e non certamente etici, mi riferisco ai Beeper,Palmari satellitari e quant’altro per la caccia alla beccaccia ecc..ecc..dov’è il cane? è fermo, sento il fischio lontano, aspetta che guardo il palmare.. si è fermo a trecento metri in quella direzione, anche l’altro è fermo a quattrocento metri direzione opposta, quale andiamo a servire? che tristezza!!!!!!Così pure per altre tecnologie e tecniche di cacce specifiche e particolari, foto trappole, dissuasori meccanici,  ecc..ecc. reti metalliche di indirizzo forzato selvaggina, utilizzo esasperato di richiami vivi e stampi di ogni genere in quantità illimitate, ecc..ecc..diamoci una calmata, altrimenti non assaporiamo più l’odore, il profumo, il rumore, del selvatico avvicinato con merito, non assisteremo più alla velocità e alla scaltrezza della fuga per la difesa della vita, del selvatico accostato con sapienza, delicatezza e rispetto.
Ad oggi, salvo casi rari, il merito nostro è quello di aver accettato, o semplicemente subito dal mercato anche televisivo, l’evoluzione delle tecniche di caccia a discapito della crescita etica e culturale dell’individuo cacciatore moderno. Abbiamo tralasciato l’insegnamento dei passaggi fondamentali dell’essere cacciatore, la conoscenza del territorio, delle abitudini selvatiche, delle consistenze, degli indici di densità di specie per territori vocati, delle percentuali di alcune specie invasive, sul territorio agricolo forestale reddituale, del rispetto del selvatico. Abbiamo tralasciato l’importanza di essere cacciatori conoscitori e rispettosi delle realtà del mondo rurale, riguardo all’aumento incontrollato di specie, di esuberi, non considerando l’interesse e l’impegno doveroso che la categoria nostra doveva e dovrebbe offrire per partecipare alla gestione e alla risoluzione ove possibile dei problemi. Arrosto che non tocca lascia che bruci…una cattiva e insolvente massima, sembra appropriata.
Eppure in cuor nostro è sempre viva la passione condivisa, l’emozione che si sprigiona e ci avvolge con il fucile a spalla, con i nostri compagni d’avventura, siano essi richiami vivi , cani, o cacciatori, amici. Sarebbe molto più facile di ieri, benchè siano cambiate certe abitudini, intervenire miratamente verso obbiettivi comuni al mondo rurale, non ostile, in tempi rapidi, reali, con equipaggiamenti appropriati, ma solamente se inseriti in un contesto di gestione di specie selvatiche normalmente cacciabili per tempi giusti, e specie in esubero o competitive verso altre specie, o dannose all’agricoltura, in tempi e modi etici, concordati ed efficaci nella gestionalità dell’ emergenza. Abbattimenti selettivi, interventi di controllo numerico di specie ad alta densità riproduttiva, salvaguardia di colture specializzate, salvaguardia reddituale di aziende e semplici coltivatori agricoli o allevatori singoli o consociati, di famiglie che dalla campagna traggono utili per la vita. Occorre recuperare la fiducia da coloro che si sono sentiti abbandonati, che non hanno avuto risposte alle loro denunce di distruzione parziale o totale  di raccolti agricoli, contrastando anche coloro che hanno abusato o tentato di abusare di rimborsi esosi, gonfiati, non documentabili.
Il nostro futuro di cacciatori è a rischio anche per questa non curanza dei problemi altrui che ci coinvolge direttamente o di riflesso. Ma è altrettanto vero che i più ottimisti dovranno, (me compreso) impegnarsi e contribuire a rendere la caccia moderna relativamente accettabile e condivisa anche dal mondo ostile o animalista, specialmente per le future generazioni.
Gli strumenti di interventi etici e gestionali ci sono in abbondanza, occorre saper distinguere quali sono i più efficaci e praticabili, le specie in esubero vanno ridotte in maniera graduale sempre supportati da studi e rilevazioni territoriali, in modo razionale ed incisivo, non dobbiamo pensare o credere di risolvere scacciando o dissuadendo specie selvatiche inopportune da orti propri, significherebbe traslocare il problema verso altri orti, senza risoluzione.
Riparleremo di gestione del colombaccio, nostro selvatico preferito, ho cercato di iniziare da lontano, per andare possibilmente lontano, con calma, senza tralasciare quelle che erano inizialmente le nostre ambiziose prerogative, il rispetto e la salvaguardia di una tradizione per una disciplina di caccia complessa e articolata, senza veti o dettati di esclusività tipiche di settarismi avulsi e fuori tempo. Apriamoci alla gestione, no al conservatorismo esoso e oneroso, proviamo a darci altri sistemi di rispetto che non siano solo quelli di tempi e luoghi di prelievo, bensì modi, utilizzo di armi e grammature congrue alle sue dimensioni e distanze, spariamoli con la convinzione di catturarlo e utilizzarlo per noi o per altri come alimentazione di pregio, non consideriamolo un bersaglio di prova o più semplicemente per verifiche di abilità per tiri lunghi oltre il limite etico, che poi uno gli spari a fermo, a volo con richiami, o di passata poco importa, sempre e comunque a tiro utile dovrà essere catturato. Non mi parlate di colpi con piombi del due o dello zero, sparati a distanze proibitive, dove le medie di cattura oscillano fra i due o tre capi ogni 50 colpi, questo non è cacciare il colombaccio, non per me, sia chiaro, non è cacciare per nessun appartenente al mondo venatorio.
Le numerose discussioni che si ripetono periodicamente sul forum nostro, sono acide come la panna di una settimana, sono ripetitive ed esasperatamente divisive, palesemente e volutamente divisive, non attraggono più nessuno se non coloro che possano godere di queste manifestazioni logoranti.
Possibile che “attori” pratici ed esperti conoscitori del mondo complesso del colombaccio, vogliano continuare ad imporre posizioni vecchie, non considerando una evoluzione della specie, una robustezza e un rafforzamento graduale significativo, una corazza indossata forse per contrastare una così imponente pressione venatoria? Ci sono regioni come la nostra Toscana dove il 30% del territorio è vietato alla caccia, di questo circa il 20% è coperto da forestazioni di tutti i tipi, che necessità ci sono di inveire contro i tagli dei boschi che sono la vita stessa della selvaggina che lo popola, di dormitori i colombacci ne trovano a scelta, a mio avviso non è determinante per la sopravvivenza della specie ostinarsi a mantenerli se non per l’egoismo di cacciarli sempre nei soliti posti, dai soliti addetti, con le solite tecniche, con le solite condizioni climatiche, con i soliti conflitti fra cacciatori locali e fuori corso. Purtroppo dico io che ne beneficio per escursioni fuori provincia, la macchina come mezzo di trasporto e di spostamento permette ormai a tutti di insidiare ogni tipo di selvaggina cacciabile, e non vorremmo certo rinunciare a tale opportunità.
Di rinunce sulla caccia ne abbiamo già metabolizzate assai, non vorrei subirne altre, ma disponibile alla gestione complessiva con maggiore senso di responsabilità da parte di tutti, senza indugi, in condivisione di interessi e rispetto con le altre discipline di caccia, riprendendo il ruolo di termometro del territorio, misurato con le realtà rurali, mondo agricolo, categorie ostili. Educare i giovani, trasmettere emozione, trasmettere credibilità nelle azioni di intervento e di tecniche di caccia, invogliarli a condividere le azioni di caccia con il cane o con i richiami vivi, o meglio ancora con tutteddue. Per l’allenamento allo sparo o la voglia di sparare ci sono i campi di tiro al volo ormai aperti gran parte dell’anno, gare cinofile, mostre e fiere di ogni tipo, complementari alle discipline di caccia. L’esercizio puro e crudo si deve differenziare totalmente, ti deve coinvolgere, ti deve emozionare, ti deve stupire anche con uno o pochi spari, specialmente se a procurarteli saranno il tuo cane o i tuoi richiami vivi. Considera la selvaggina che insegui la più difficile, la più furba, la più intelligente e agisci di conseguenza, solo così una volta catturata potrai godere appieno del tuo impegno, della tua passione, non certo del sacrificio, perchè andare a caccia non è un sacrificio ma semplicemente una autentica ed impegnativa passione e arte.
Buona lettura,
con rispetto Rimescolo
(Potete trovare diversi testi di Renato nella rubrica del sito Racconti di Caccia)