FORUM Club Italiano del Colombaccio

giamp50

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Risposta #7 il: 20/12/2019 - 20:33
Dalle modifiche ambientali passiamo ai miglioramenti tecnologici.

Nei primi anni sessanta i fucili maggiormente in uso erano vecchie doppiette artigianali calibro 12 e 16, alcune con cani esterni, con pressioni di collaudo canne a 900 Kg/cm2, con qualità dell'acciaio notevolmente bassa, tanto che ogni tanto se ne apriva qualcuna.
Ovviamente vi erano anche armi di marca ed anche qualche sovrapposto ma nel complesso pressochè insignificanti come numero rispetto al totale.

Le cartucce erano per la maggior parte caricate in casa, pochi si potevano permettere di acquistarle in armeria.
Bossoli di cartone, borra di feltro, cartoncini, piommbo al massimo indurito, orlatura tonda, carica massima, ma di rado, 36 gr.
Di conseguenza canne lunghe e strette per guadagnare qualche metro.
Risultato: tiri intorno ai 20 mt., massimo 30.
I meno abbienti, ed erano tanti, si potevano permettere solo qualche colpo alla lepre e, prima di sparare ad uccelli, aspettavano che si ammucchiassero.

Non esistevano congelatori, qualche frigorifero solo per i più abbienti, c'era solo il pozzo artesiano e le grotte per tenere al fresco.
Quindi, quando si era preso il necessario per la famiglia si sospendeva la caccia per quel giorno.

Oggi semiautomatici con pressioni di collaudo a 1.630 Bar, cartucce super magnum che arrivano sino a cariche di quasi 70 gr., telefonini, GPS, radioline, collari GPS, richiami elettronici (illegali), automazioni e telecomandi, ottiche straordinarie, punti rossi, visori notturni, portano ad un esercizio venatorio fortemente impari con il singolo selvatico che praticamente non ha quasi più scampo.
E con questi apparati tecnologici anche le tecniche di caccia sono divenute implacabili, vedere caccie in comitiva per fossi con poste e controposte ai turdidi, vero scempio odierno.

A tutto questo solo due sono le specie che si contrappongono con successo grazie alle loro caratteristiche ed al branco, il resto è tabula rasa.

In più, l'accresciuta micidialità delle armi e munizioni, spinge a sempre maggiori distanze di tiro con conseguenti inutili ferimenti e perdite.

Seagate

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Risposta #6 il: 18/12/2019 - 21:23
Credo che sarebbe interessante approfondire le ragioni storiche,geografiche, economiche che hanno portato la Scozia e l'Italia ad essere quello che sono oggi ma, oltre a non essere la sede, e soprattutto il sottoscritto,giusta,temo che le conclusioni non ci piacerebbero.
Detto questo credo che le specie animali,se non troppo specializzate, abbiano grandissime capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali sempre che non si vada ad incidere sulla riproduzione e disponibilità di cibo...ad esempio uso di sostanze che magari non uccidono direttamente ma fanno calare il tasso riproduttivo oppure determinano la scarsità di cibo specifico in una determinata fase di accrescimento...
Tempo fa,se ben ricordo, su altro forum un utente raccontava che nella sua zona l'unico volo di starne lo trovava nei pressi di un area industriale abbandonata a se stessa con ricrescita di erbe spontanee e assenza di coltivazioni nei dintorni.
Boh...per fortuna ci sono i colombacci che ci riempiono la testa,gli occhi e,ad alcuni,anche la pancia...da quanto leggo!
Saluti

Badger

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Risposta #5 il: 16/12/2019 - 14:39
L'argomento è di grande interesse sicuramente merita degli approfondimenti che non credo si possano riassumere in questa sede, ma proviamo a dire la nostra. Stiamo vivendo un periodo di grande cambiamento, e non solo climatico. La velocità in cui le cose sono cambiate e stanno cambiando intorno a noi è impressionante e a questo fenomeno del tutto circoscritto agli umani e quindi di sicuro impatto sui costumi e le abitudini, si accompagna un cambiamento ambientale e climatico di grande rilevo. Non sono sicuro che tutto dipenda dall'azione dell'uomo, ci sono tesi e teorie che non possono essere comprovate nel breve spazio della nostra esistenza, il pianeta si evolve secondo logiche millenarie e la storia passata della Terra insegna molto. Tuttavia alcuni fatti sono sotto gli occhi di tutti. Pensiamo al colombaccio. Posso testimoniare che negli anni 70-80 era solo di passo o doppio passo e nel resto della stagione, salvo alcuni siti storici, era del tutto assente. Oggi riempie anche le nostre città nè più nè meno che in inghilterra almeno venti anni fa. Questo significa due cose: la prima che la caccia non incide sulla buona salute di una specie, nel male  nel bene. ll Moriglione, oggi oggetto di speciale attenzione in Europa, quando ho smesso di cacciare gli acquatici alle fine degli anni 0ttanta, era tra le specie più abbondanti. Eppure molte zone umide sono oggi protette e quella agli acquatici è la caccia più monitorata. La seconda che la dinamica di sviluppo o decremento di una specie segue delle logiche che in parte ci sono sconosciute. Tuttavia non posso fare a meno di pensare che ci sono realtà in Europa che dicono cose diverse. Penso alla Scozia che conosco abbastanza bene e dove ho cacciato per quasi venti anni. La regione è scarsamente antropizzata, il traffico veicolare è concentrato su poche grandi direttrici, gli insediamenti urbani rilevanti sono pochi e distanti fra loro. Il territorio è riservato alla pastorizia e all'allevamento dei bovini allo stato brado  e dove non c'è questo è intensamente coltivato. Non vengono usati concimi chimici e l'acqua dei torrenti scozzesi, oltre a essere ricca di pesce, viene bevuta dai guardiacaccia alla bisogna.Quindi rispetto alla nostra realtà una specie di paradiso e di più, oltre ad una gestione attenta ed al rispetto delle regole, non mi risulta che venga fatto niente di particolarmente incisivo per mantenere questo livello di qualità. Certo diversamente da noi questi sanno cosa  va fatto e lo fanno, mi viene in mente uno studio sulla diminuzione della Grouse. Individuate le cause, che non erano legate alla caccia, si è fatto un intervento mirato e poliennale finchè i numeri non sono tornati ad essere ottimali.Insomma la Scozia è la testimonianza che tutto ciò che succede intorno a noi e che è causa direttamente o indirettamente della diminuzione della qualità della caccia da loro non incide affatto o incide pochissimo. Conclusioni? Mah non so, fate voi, i cambiamenti ambientali e climatici ci sono, i cambiamenti di abitudini e costumi anche ma forse se a tutto questo corrispondesse veramente la voglia di far funzionare le cose, forse e dico forse la situazione non sarebbe così da ultima spiaggia. Mi sono un po' incartato? Forse ma sto cucinando i colombacci per la cena e cosa volete il profumo mi ha confuso un po' le idee. ciao

Seagate

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Risposta #4 il: 14/12/2019 - 11:47
Tutto pienamente condivisibile e inoppugnabile...per la stanziale ed anche migratoria che si riproduce alle ns latitudini tutto si spiega anche perché,a parer mio,dati e osservazioni sono piuttosto concordi e riscontrabili.
Sempre a mio modesto parere,tutto si complica se parliamo di migratori svernanti o di doppio passo...alcuni, pochi,sono indubbiamente in aumento mentre altri sembrano diventare sempre meno presenti...non mi riferisco alla singola stagione o ad una ristretta area geografica ma ad una tendenza pluriennale sull areale mediterraneo...questo a me pare.
Il discorso si complica parecchio perché abbiamo pochi dati in rapporto alla vastità e complessità dell'argomento ma,a mio modestissimo parere,i fattori indicati da Giamp anche qua incidono eccome, sommandosi ad altri,forse ancora misteriosi,certamente più complessi.Su questo processo,sempre che sia effettivamente in atto,ho la personalissima opinione che la caccia,intesa come prelievo percentuale sul totale, incida ben poco.
Saluti

giamp50

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Risposta #3 il: 12/12/2019 - 19:13
Media collina marchigiana, anni cinquanta, sessanta e primi anni settanta, tutto il territorio era interamente coperto da filari, ogni 12-15mt, composti da viti ed oppi (aceri) che fungevano da sostenitori del filare stesso ed ai quali si maritava una vite ogni, forse, sei metri.
Anche qualche pianta da frutto trovava posto lungo i filari.
Il terreno tra un filare e l'altro era coltivato con colture quasi sempre diverse.
Non vi era strada, sentiero, fosso, o comunque dislivelli vari che non fossero supportati da larghe siepi e piante fortemente radicanti tali da contrapporsi ad ogni smottamento dei terreni e che il tutto veniva regolarmente a turno ripulito e rasato lasciando sempre sistematicamente intervallate le nuove giovani piante, utilizzando quanto ricavato per scaldarsi e o cuocere il pane e quant'altro nel forno di cui erano fornite tutte le colonie.

Questo ambiente era un habitat impareggiabile per ogni essere vivente.
Considerando poi che fino agli anni sessanta i diserbanti e disseccanti erano pressochè sconosciuti in quanto tale funzione di ripulitura era unicamente svolta da lavoro manuale umano.
Che concimi utilizzati erano principalmente organici, letami. Salvo della calciocianamide sul grano e pochissimo altro.
Trattamenti chimici antiparassitari, insetticidi e antifungini, erano altrettanto sconosciuti salvo poltiglia bordolese e zolfo su vite.

In più vi era un rispetto tale per la vita che, ad esempio, quando il contadino, falciando a mano il campo di erba, notava il nido di quaglia, lasciava quel pezzetto di erba, il che permetteva alla madre di portare a buon fine la cova.

Mentre oggi cosa abbiamo?
Abbattuto, spianato, riempito tutto quello che si è potuto, riducendo i terreni a tanti tappeti di biliardo ed estendendo la coltura unica a diversi ettari, riversandoci sopra ettoletri di diserbanti, disseccanti, insetticidi, antifumgini e quintali di concimi chimici con distribuzioni ripetute.
Macchine agricole sempre più grandi e sempre più veloci alle quali difficilmente i selvatici riescono a sottrarsi.

Non difficile immaginare perchè alcune specie selvatiche siano o pressochè scomparse o fortemente diminuite.
 

Vasco

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Risposta #2 il: 10/12/2019 - 17:22
Forse non è tutta colpa del progresso Giamp,la tecnologia e disponibilità economiche cui ti riferisci, la causa dello stravolgimento delle modalità dell'attività venatoria.
Nonostante la larga diffusione di un sentimento nettamente contrario alla caccia, non appare possibile immaginare un mondo in cui la pratica venatoria sia completamente eliminata.
La caccia svolge tuttora funzioni di carattere economico-sociale (fonte di alimenti e redditi, ricreazione,socializzazione) e di carattere ambientale, come fattore regolatore di equilibri (fra fauna e colture agricolo-forestali, fra specie animali diverse) che non si possono auto-annullare né eliminare per legge.
In tempi recenti, intorno a questa attività si sono manifestate sensibilità e visioni etiche e culturali, scelte personali e collettive molto diverse,ma tutte legittime. Al di sopra di ognuna di esse è stato costruito un quadro normativo che detta diritti e doveri connessi alla pratica di qualsivoglia scelta personale e che mira al conseguimento dell’interesse generale, sia nella tutela e gestione della fauna selvatica, sia nell’integrazione territoriale delle azioni di salvaguardia, gestione e pianificazione del paesaggio e dell’ambiente.
La collaborazione delle diverse categorie interessate al prelievo venatorio sarebbe però essenziale perché cacciatori, agricoltori e ambientalisti possano e debbano trovare un punto di equilibrio tra principi diversi e diversi interessi settoriali. Lo stesso mondo venatorio avrà un futuro meno incerto solo se saprà mettersi in grado di svolgere attività di utilità generale per la gestione razionale di risorse quali paesaggio,ambiente e fauna, senza la cui conservazione ogni uso attuale e futuro,ovvero sostenibile, è di fatto, secondo me impossibile.
Certamente c'è nell'aria voglia di cambiamento, anche noi vecchi cacciatori siamo consapevoli di raffrontarci oggi con realtà diverse,sta a noi saper convivere in simbiosi con l'ambiente e la fauna ma soprattutto con il "mondo" ambientalista.

Saluti.
vasco

giamp50

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Risposta #1 il: 07/12/2019 - 21:59
Pochi decenni dal secondo dopoguerra ad oggi ma sufficienti, a seguito dei progressi tecnologici, delle disponibilità economiche e delle variazioni ambientali, a stravolgere le modalità dell'attività venatoria e di conseguenza variarne l'impatto fino a ridurre ai limiti dell'estinzione alcune specie e di contro una sempre più consistente presenza di poche altre.

Molto vi sarebbe da considerare e riflettere, se non altro per cercare di capire e conseguentemente di adeguare l'attività a modalità che non solo non danneggino ma anzi favoriscano l'ottimale espansione delle stesse specie cacciate.

Vogliamo parlarne insieme?