LE TRADIZIONI E LA CACCIA AL COLOMBACCIO


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Le tradizioni che coinvolgono la caccia al colombaccio, nello scorrere del tempo, sono cambiate più e più volte. A ben pensare, le tradizioni sono la cartina tornasole delle più consolidate
consuetudini venatorie, vale a dire dei più condivisi modi di fare, dei comportamenti che i cacciatori hanno condiviso secolo dopo secolo. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, mi piace dare cadenza storica alle tradizioni venatorie in questo campo citando alcuni dei

più famosiPGa1 ed efficaci modi per catturare colombacci. A mia conoscenza, la documentazione storica più antica (anno 880) a parlarci di quest’argomento è consultabile presso l’Abbazia della SS. Trinità in Cava dé Tirreni; tratto del famoso Codex Diplomaticus Cavensis che ci racconta di cacce sviluppate con l’utilizzo di reti tese verticalmente, di cacciatori capaci di fare scendere i voli dei colombi entro tali reti sfruttando sassi imbiancati con la calce e lanciati in cielo per mezzo di potenti colpi di fionda. Questa caccia è stata perpetuata per oltre mille anni, finendo di essere esercitata a Cava attorno agli anni ’50 del secolo scorso.

palombe1palombe3Di esperienze analoghe abbiamo notizia attorno al 1300/1400 anche da alcune regioni pirenaiche: tratto di tecniche di caccia “basche” e “bearnesi”. A larghe linee i modi di fare francesi non si differenziavano molto da quelli italiani. Cambiavano le fattezze dei feticci lanciati in cielo e cambiavano anche altri particolari, quali gli attrezzi utilizzati per eseguire il lancio avendo a che fare in alcuni casi con particolari proiettili e apposite balestre, in altri (la maggioranza) con palette di legno, sempre di color bianco, lanciate a mano dai cacciatori. Da notare che in Francia esistono tutt’oggi dieci “pantiéres” (appostamenti con reti verticali) che ogni ottobre tornano a funzionare perpetuando un così antico rito di caccia.

AP201P2v121844p53passengerpigeonArrivati attorno al 1500 ecco prendere corpo altre consuetudini: nello specifico cacce esercitate prioritariamente di notte. Una volta identificato un importante dormitorio, i cacciatori davano origine a particolari “concerti” (molto rumorosi… potremmo semplicemente definirli come un gran baccano) con strumenti d’ogni genere (paioli, padelle, bidoni, ecc ecc) e con forti fonti di luce, attivate con fuochi posti proprio sotto gli alberi prescelti dai colombi per trascorrere la notte, illuminavano a giorno il bosco. Nel bel mezzo del concerto ecco entrare in azione cacciatori armati in un primo tempo di balestre e secondariamente (nel trascorrere degli anni) di archibugi. Tintamare e chiarivari erano i nomi che identificavano queste cacce.

ok (2)amelia okeQualche secolo più avanti, 1600/1700, ecco prendere forma altre tradizioni in una ristretta zona della Penisola: tratto di Amelia e delle sue famose “paielle”: reti poste a terra orizzontalmente (reti cosiddette a copertone). Queste cacce avevano particolare valenza, tanto da coinvolgere i legislatori competenti

territorialmente, vale a dire i Papi. Infatti, opportuni bandi del Papa erano emessi per tutelare questa caccia e i risultati economici di tale locale tradiok piccolazione venatoria. Basti pensare che carovane di mulattieri si recavano giornalmente alla neanche tanto vicina Roma per vendere i colombacci a “paia” nei mercati locali. I grandi proprietari terrieri (non il popolino) sfruttavano lo “stop over” primaverile dei colombacci nelle zone circostanti Amelia per realizzare cospicui carnieri e per “far soldi”. Si parla, all’inizio del secolo scorso, di carnieri complessivi che nell’Amerino potevano aggirarsi attorno ai 70.000/80.000 colombacci quali “fruttato” di una stagione primaverile di caccia.

Facendcpa-palombes-3o un altro balzo in avanti nel tempo… ecco entrare in azione fucili da caccia degni di questo nome ed ecco nuove tecniche di caccia prendere forma.

E’ ancora una volta l’Umbria a dettare legge. Immagino quanto scalpore, quanti attriti abbiano provocato proprio i moderni fucili da caccia con tutto quel “rumore” che facevano rispetto alle silenziose ed efficaci “paielle”, ma così va il mondo… da un’innovazione all’altra… e così variano le tradizioni venatorie.

E’ di nuovimagessso in Umbria che presero vita tradizioni di caccia al colombaccio tutt’oggi in auge: mi riferisco alla caccia con volantini e zimbelli e sparo a fermo, dopo che si è riusciti nella posa dei colombacci. Questo modo di tendere ai colombi è stato poi esportato nelle Marche da cacciatori professionisti umbri assoldati da facoltosi possidenti terrieri marchigiani.

A mio parere occorre avere bene a mente anche come si svolgeva la vita nelle campagne a inizio del secolo scorso. La “mezzadria” era imperante quale retaggio storico di altre 12754_lom60_12754_1tradizioni sociali (chiamiamole così) che vedevano nobili e “padroni” comandare e i contadini sfruttati per lavorare i terreni agricoli. Queste forme di caccia che richiedevano notevole impegno economico e la proprietà di grandi boschi non era certamente alla portata dei mezzadri che, nella maggior parte dei casi, non si potevano neppure permettere il costo della licenza di caccia.
Succedeva allora che qualche nobile o qualche “signorotto” appassionato della caccia tradizionale al colombaccio (esercitata con uso di volantini, zimbelli, lasce… e sparo a fermo) decidesse di realizzare una sua “caccia”. Per fare ciò (nobili e signorotti mica si sporcavano le mani) normalmente il padrone del fondo sul quale sarebbe sorta la nuova “caccia” era solito affidare questa incombenza a un suo fidato contadino che poco per volta diventava il suo “cacciatore”. Spesso, nel caso delle Marche, questa figura era “affittata” nella vicina Umbria, profittando delle valide esperienze maturate dai cacciato002 (2)ri in questa regione, regina della caccia tradizionale. Non succedeva il contrario, vale a dire che benestanti umbri affittassero cacciatori marchigiani.

Più volte ho fatto riferimento alla caccia effettuata con lo sparo a fermo. Entrando in questo argomento, secondo me, occorre di nuovo fare riferimento all’aspetto economico della vita di quei tempi, al fatto cioè che al costo di una cartuccia doveva corrispondere un pari valore economico in prede. I cacciatori umbri avevano avuto a che fare per secoli con le loro “paielle” e appostamento3con fastosi carnieri. Nel momento in cui si passò dalle reti ai fucili, a quella che oggi viene in modo conclamato definita “caccia tradizionale al colombaccio”, gli Umbri ebbero bene a mente, come fine ultimo, quello di continuare a raccogliere il maggior numero di prede e di farlo nel modo più economico possibile. Così nacquero le loro blasonate tradizioni. Ecco un “capocaccia” di sicura esperienza coordinare, meglio dire comandare numerosi cacciatori che si trovavano in altrettanto numerosi capanniposti a terra e a tiro delle querce che ornavano l’appostamento di turno. A un suo segnale, posati i colombi, ecco partire la scarica sincrona di più fucili in grado di “raccogliere” il maggior numero possibile di prede. Questo concetto (maggior numero di prede) ha sempre contraddistinto tutte letecniche di caccia che si sono sviluppate nel corso dei secoli. Occorre pensare che i nostri antenati intravvedevano prioritariamente nella caccia una fonte di sostentamento, una fonte di economia e se vogliamo essere meno severi… anche una fonte di appassionanti emozioni.

Vogimageslio rilevare ancora una volta che le più rinomate “cacce-tradizionali-al-colombaccio” erano all’inizio del secolo scorso, ma anche fino al primo dopoguerra, spazi riservati a nobili, a signorotti locali, a professionisti quali “il farmacista”, “l’avvocato”, “il medico”, “il notaio”, per non parlare del “conte”, del “marchese” e così via. Il “popolino” a lavorare! I contadini potevano avere accesso a queste “riserve di caccia” in un solo modo: mostrando la loro maestria nel saper in primo luogo realizzare una caccia (potare il bosco, rizzare capanni ecc) e soprattutto nel saperla in seguito gestire. Ecco contadini, mezzadri, riuscire a diventare “capoc

accia” nel caso la loro maestria nell’allevare, addestrare, manovrare piccioni avesse concreto riscontro da parte dei proprietari, dei “padroni” dei fondi agricoli.

20141229-coalana-IMG_8852  appostamento-di-caccia2 colombaccio4-bigDopo la metà del secolo scorso, verso gli anni ’60, abbiamo vissuto (io già c’ero) il “boom economico italiano”, momento in cui la singola cartuccia ha perso il suo valore intrinseco. In questo momento, difficilmente prima, le tradizioni umbro-marchigiane hanno subito un’altra modifica dando vita a capanni cosiddetti di ribattuta dove alcuni cacciatori prendevano e prendono posto per ribattere al volo i colombacci superstiti della scarica a fermo. E’ peculiare di questi anni una notevole democratizzazione della caccia. Inoltre, è doveroso far notare che anche la vita delle campagne subì importanti modifiche allorché il secolare latifondismo iniziò a mostrare crepe…. Successe in quegli anni che numerosi mezzadri riuscirono ad acquistare il podere nel quale avevano lavorato per anni ed anni, diventando in tal modo “piccoli proprietari terrieri”. Questo nuovo “tessuto sociale” permise la nascita di nuovi e numerosi appostamenti fissi di caccia al colombaccio.

indexrNello stesso momento storico prendeva vita in Toscana una nuova tecnica di caccia, molto più semplice delle precedenti, che prevedeva solo lo sparo al volo su selvatici attratti al “pulpito” di turno sempre per mezzo di richiami vivi, volantini e zimbelli. Altre tecniche di caccia hanno poi contraddistinto l’inizio del terzo millennio seguendo pari passo l’evolvere delle condizioni climatiche e il modificarsi delle colture agricole. Tratto della caccia cosiddetta al imagescampo o di quella cosiddetta con l’asta. Parliamo di novità in merito a consuetudini per cacciare i colombacci che per diventare “tradizioni” dovranno lasciar trascorrere un po’ di tempo, come usa fare col vino nella botte “buona”. Inevitabilmente, come da sempre, ogni novità in campo tradizionale, sia essa venatoria, sia essa endemica di qualche altro aspetto indexdell’esistenza umana, trova resistenze, se non ostilità, da parte di chi si sente adepto di particolari retaggi storici. Insomma la storia si ripete ciclicamente e ogni cambiamento è mal visto da chi si sente depositario radicale di una tradizione.

Un aspetto che ritengo degno di nota riguarda il rapporto che nei secoli si è instaurato tra le collettività e i cacciatori. Per esempio, penso al favore che noi cacciatori si faceva ai contadini quando tanti anni addietro si sparava ai passeri. Passeri e topi erano per i contadini il medesimo flagello. Allo stesso tempo mi raffronto col moderno “sentire” la caccia e credo che anche le tradizioni più storiche, più blasonate e conclamate possano perdere i loro “nobili lombi” nel momento in cui devono necessariamente raffrontarsi col comune sentire della moderna società. In merito poi alla ormai stantia diatriba che contraddistingue chi caccia sparando al volo e chi invece a fermo, a parere personale, cadendo in questo improduttivo vortice, altro non si fa se non alimentare il fuoco di un’insensata “guerra tra poveri”. Lo stato di fatto conclamato è che alcuni appassionati si proclamano cacciatori con la C maiuscola e ad altri, invece, è riservata la c minuscola. Per la collettività siamo tutti cacciatori: termine che non è di gran moda, termine piuttosto negativo, termine che identifica una categoria quasi in via di estinzione… Credo che, indipendentemente dal modo di esercitare la caccia, si debba riservare lo stesso rispetto agli uni e agli altri e tutti assieme (noi patiti del colombaccio) si debba rispettare anche il resto dei colleghi che non hanno la nostra stessa passione e che praticano altre discipline venatorie. Rispettare tutti per meritare il rispetto di tutti: questa la sintesi.

Dopotutto… come le leggi cambiano, col modificarsi delle situazioni che coinvolgono le collettività, perché non accettare che anche le più blasonate tradizioni venatorie possano subire modifiche. Smqdefaulte le tradizioni acquistassero valore aggiunto esclusivamente in merito ai secoli che hanno alle spalle, dovremmo tutti (noi che cacciamo il colombaccio) reimpiantare reti verticali e tentare di farvi calare i colombi per mezzo di sassi imbiancati con la calce e lanciati in cielo con potenti colpi di fionda, come prima dell’anno 1000 usava farsi in Cava dé Tirreni. Invece le tradizioni sono in continua evoluzione e si adattano a esigenze regionali se non d’inferiore valenza territoriale. Ecco che mi piace pensare alle tradizioni degli amici Liguri (ai loro “drappelli” in particolare), a quelle degli appassionati Lombardi (la caccia al campo è quasi una loro esclusiva), poi vengono a mente “quelli” che più a nord rappresentano gli “avanposti” della grande attesa migratoria, vale a dire gli amici Veneti. Penso con affetto ai indeMARExmiei conterranei, i Romagnoli, tutti rivolti con gli occhi al mare nella spasmodica ricerca di quei “neri puntini”; allo stesso modo ricordo i cacciatori Toscani che tante innovazioni hanno introdotto nella caccia tradizionale al colombaccio. Grande rispetto ho per gli appassionati dell’Umbria e delle Marche (i nostri parenti dai nobili lombi) e per le loro originali tecniche venatorie. Poi, ancora più a sud, ecco Laziali e Abruzzesi con le loro peculiari consuetudini di caccia. Le mie conoscenze in questo campo sconfinano in Puglia ed in Basilicata, per finire in Sicilia e Sardegna. Tratto di un micro-macro mondo nel quale le sfaccettature della comune passione sanno, tutte, brillare di luce propria. C’è motivo per sentirsi superiore ad altri? C’è motivo per considerare cacciatori di serie A quelli che fanno in tal modo e cacciatori di serie B quelli che fanno in tal altro modo? Io credo di no.

Chissà fra cent’anni… (se ancora sarà permesso andare a caccia?) quali saranno le tradizioni più “auliche” e quali le più disprezzate? Al momento ognuno di noi ha fatto le proprie scelte, condizionate dall’ambiente nel quale si caccia, dalle esigenze specifiche dettate dall’orografia della regione, dalle tradizioni della propria terra. Tutte le tradizioni meritano il medesimo 72_64310_6_pd7edTESA COLOMBACCI

rispetto perché riassumono l’anima di un popolo (grande o piccolo che sia) di appassionati cacciatori. Smettiamola, definitivamente, di proclamarci popolo eletto perché ci comportiamo secondo le “antiche scritture”. Viviamo tutti la stessa passione contraddistinta dalla stessa precarietà: mi riferisco ai noti problemi annessi l’uso dei richiami vivi, oppure alle problematiche che coinvolgono i nostri appostamenti fissi. E allora? E allora che senso ha incensare di qua e denigrare di là?

DSC_0023 DSC_0024 (3)Sono giunto alla fine di questa mia lettera (è una lettera?) indirizzata a tante “anime perse”, a tanti amici, conoscenti, a persone che in ogni modo hanno subito, subiscono o subiranno gli effetti di una conclamata malattia: la cosiddetta “palombite” o “colombite” che dicasi (uso due definizioni tanto per non contribuire anch’io a dividere il corpo degli appassionati cacciatori in base ai termini lessicali di diversa interpretazione). Alla fin fine… ciò che ha grande valore è che noi cacciatori, per primi, si sia in grado di intendere se il “colombaccio” sta bene in salute e se la sua dinamica demografica consente i prelievi che noi attuiamo. Questo è il nocciolo immagine4del problema e le nostre energie, a parere personale, andrebbero più dirette a studi, ricerche, indagini che coinvolgano l’oggetto dei nostri desideri, anziché perder tempo in insensate e controproducenti diatribe intestine. Gli spazi per questi studi non mancano di certo: penso alla nidificazione, allo svernamento, all’alimentazione del colombaccio, alle sue migrazioni nuziali e pre-nuziali e a tanti altri aspetti della vita del selvatico che meriterebbero precisa attenzione.

Rimbocchiamoci le maniche e i risultati arriveranno…

Rinaldo Bucchi