Tradizione caccia al colombaccio nelle Marche

a cura di Francesco Paci

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C’è una sindrome, a carattere prevalentemente ereditario, che colpisce i marchigiani maschi (in qualche rarissimo caso, femmine), generalmente nella post-adolescenza e li accompagna poi per tutta la vita. Una sindrome particolarissima, dalle manifestazioni a cicli rigorosamente annuali e dal decorso assolutamente benigno. Si manifesta con i primi segnali, ancora appena percettibili, verso la seconda metà di settembre, aumenta di intensità patologica, gradualmente, fino alla seconda metà di ottobre, e poi, sempre gradualmente, recede, lasciando nelle persone colpite, dei postumi assolutamente specifici : un senso diffuso di malinconia e di nostalgia. In genere il periodo di massima patologia cade verso la seconda decade di ottobre, influiscono però molto le condizioni meteorologiche, che possono sfasare i tempi canonici del decorso del morbo. L’agente patogeno non è né un batterio né un virus: individuato fin dai tempi del dominio pontificio sulle Marche, esso è un migratore: la palomba. Il nome italiano di questo columbide migratore, un pò più grosso dei comuni piccioni, sarebbe “colombaccio”, ma per i marchigiani “ammalati” questo termine è del tutto inutilizzato, quasi estraneo, e mentre alla palomba sono immediatamente connesse evocazioni emotive assai intense, “colombaccio” è solo un freddo termine da dizionario.... come il nome e il cognome di certi personaggi noti esclusivamente con il loro nome “di battaglia” e per i quali il nome anagrafico ufficiale, non c’entra proprio. E’ una tradizione antica, quella della caccia delle palombe, nelle Marche. Una tradizione illustre e del tutto specifica, un compendio di tecnica e di cultura venatoria di grande pregio che, per la sua peculiarità, non trova riscontro in nessuna altra parte d’Italia. (Continua a leggere...)